L’opinione | Ora tutti sanno che la storia non è proprio il pezzo forte di Salvini

E adesso che, grazie ai suoi errori, si trova tra le inevitabili macerie del centrodestra, ne sancisce lo «scioglimento come neve al sole»

Che non esistano in natura uomini per tutte le stagioni, è ampiamente dimostrato dalla storia, che a fronte di sconfitte devastanti, ha visto sempre il passaggio della corona ai sostituti, giammai la conferma nel ruolo di comando agli sconfitti.

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Ora tutti sanno che la storia non è proprio il pezzo forte di Salvini, ma anche se ignora il destino storicamente riservato a chi perde, non può certo far finta di niente e comportarsi come se non avesse gravi responsabilità, visto che si è voluto accollare il ruolo di kingmaker per la scelta del Presidente della Repubblica, con la palese intenzione di utilizzare l’eventuale successo a suo beneficio, per il ruolo futuro di premier della coalizione di Centrodestra.

E invece l’elezione di Sergio Mattarella, avallata dallo stesso Salvini che, come l’esercito austroungarico, era sceso nella valle del transatlantico di Montecitorio con orgogliosa sicurezza, dopo incredibili giravolte, cambi di direzione e spiattellamento della più lunga filiera di nomi e cognomi mai proposta in nessuna precedente elezione presidenziale, si era visto costretto alla scelta del nome che per lui era l’esatto opposto della strategia sostenuta per sei giorni con imprudenza, faciloneria e una dose industriale di arroganza, per «eleggere, finalmente, un Presidente della Repubblica di Destra».

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Ed ora che, grazie ai suoi errori, si trova tra le inevitabili macerie del Centrodestra, ne sancisce lo «scioglimento come neve al sole».

Ma per quanto incapace a realizzare una vittoria del Centrodestra senza cercare le necessarie alleanze e, soprattutto sapendo di non avere i voti, Salvini non è l’unico responsabile, semmai è colui che per spirito esibizionistico, ne porta la croce più di altri. Ed infatti la debacle dell’elezione Presidenziale per il Centrodestra è un risultato che appartiene a tutti e tre i leader dei principali partiti, perché la sequela degli errori è stata decisa alla unanimità nei passaggi nodali che hanno portato alla sconfitta.

Il «pallino» del gioco

Un primo errore è stato la presunzione di avere i voti, perché ne mancavano solo 55 al raggiungimento del quorum minimo a partire dalla quarta votazione. Ma un leader veramente capace, non si sarebbe mai buttato all’assalto sapendo di non avere le truppe necessarie alla vittoria e confidando, senza certezze, solo nei tradimenti (a pagamento? o altro?). E sapendo che fallendo il risultato, il pallino sarebbe passato agli avversari, come è accaduto.

Il secondo errore è stato quello della candidatura di Berlusconi, che ha impedito sin dall’inizio ogni ipotesi di trattativa, ritirata troppo a ridosso dell’inizio delle votazioni, dopo giorni di polemiche, veti e reazioni varie, invece di creare le condizioni di un confronto costruttivo.

Il terzo errore è stata la scelta, anche questa con l’accordo unanime dei tre capi, ed anzi con la pressione forte della Meloni, di presentare la candidatura della Presidente Casellati «per misurare le forze reali del Centrodestra», scegliendo la candidata meno adatta per i noti dissapori all’interno del suo stesso partito e facendo esattamente ciò che nessuna coalizione, gestita da dirigenti con un minimo di fiuto politico, avrebbe mai fatto.

Il quarto errore la scelta, anche questa all’unanimità dei tre capi, di buttare nell’arena il nome della dott.ssa Belloni, per evitare l’elezione di Draghi, ormai rimasta chiaramente l’unica vera chance. Solo nella scelta di Mattarella, Salvini ha operato senza coordinarsi con la Meloni, scegliendo secondo lui il male minore, ma sempre con l’obiettivo di non fare eleggere Draghi.

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La candidatura di Draghi

Ed è questo il più grave errore di Salvini, che se avesse avuto un minimo di fiuto politico, dopo il disastro della sconfitta cercata e voluta della Casellati, invece di proporre la dott.ssa Belloni, avrebbe dovuto da subito avanzare la candidatura di Draghi, che non poteva essere respinta, ed oggi avremmo uno scenario diverso, magari con un Kingmaker ammaccato ma oggettivamente vincente, ed un Berlusconi probabilmente meno sereno, ma non del tutto svincolato da una coalizione che avrebbe trovato il modo di ricompattarsi.

Salvini, incoscientemente, si è immolato nel tentativo di penalizzare Draghi, reo di avere giustamente commissariato la politica e si è trovato alla fine a favorire la riconferma nei rispettivi vertici, allo stesso Premier e al Presidente della Repubblica che hanno commissariato i partiti, risultando per questo il principale perdente. Ed è inutile che annaspi per riprendere ruoli e centralità con dichiarazioni ansiose e prive di reale valenza politica, spie di una fragilità che rischia di aumentare il danno di immagine subito.

Ieri ha presentato uno stralunato concetto di «un nuovo progetto più grande, ambizioso e visionario» che semplicemente non esiste, anche perché proponendo un giorno la costituzione di una federazione, il giorno dopo un Partito Repubblicano stile USA, il giorno dopo ancora magari l’Unicorno Tricolore, dà l’esatta cifra del suo stato mentale confuso e incapace di incassare l’atroce sconfitta, frutto della sua superficialità e inadeguatezza al ruolo, nell’imbarazzato ma vigile silenzio dei suoi sostenitori, che sempre di più avvertono la sua inaffidabilità.

Un vero gioco di squadra

Oggi ha ipotizzato un anno per recuperare il Centrodestra, facendo finta di ignorare l’intervista in TV su La7 della Meloni, che ha sparato contrarietà di indirizzo a palle incatenate. Insomma un disastro, che evidenzia comunque come sia chiaro che nessuno dei leader del Centrodestra ha dimostrato capacità di direzione politica e gestionale in generale, e in particolare in questa vicenda e nella volontà di svolgere un vero gioco di squadra.

Per realizzare un progetto visionario ed essere considerati idonei a svolgere il ruolo di governo del Paese, occorre prima di tutto avere una visione del presente e sapere cosa fare per assicurare un futuro agli italiani.Ma per avere la visione bisogna avere principi, contenuti e linee di indirizzo coerenti che il Centrodestra, almeno dal 2012 in poi, con le sue scelte sovraniste e l’assenza di strategie e progettualità, l’inseguimento degli algoritmi e il duello sterile tra Salvini e Meloni per la leadership della coalizione «sciolta come neve al sole», ha costantemente dimostrato di non avere.

Per questo si sente il bisogno di un nuovo soggetto politico con principi, obiettivi, progetti e contenuti, che riempia il vuoto che questo Centrodestra, ora in fase di rottamazione, comunque non ha mai colmato.

Nicola Bono
già sottosegretario per i beni
e le attività culturali

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