La strana democrazia di un Paese dove da tempo governa chi non è stato eletto

di Rino Nania

Ne deriva uno scontro tra paure e libertà, tra coraggiosi spavaldamente responsabili e chi conformisticamente aderisce al pensiero unico

In un’Italia che vede governare chi non è stato eletto (Conte, Draghi) e viene eletta una maggioranza che rimane irrilevante ai più (5stelle, Fratelli d’Italia, Lega) bisogna cominciare ad interrogarsi su quanto tasso di democrazia alberghi in questo territorio.

Anche perché, nell’universo sfaccettato dei sistemi di regolazione, avviene nel rappresentato quadro uno strano e triste giochino, laddove si tende a mitigare (con blandizie) nelle formulazioni lessicali l’esercizio della volontà governativa (senza aver ottenuto consenso) obbligando segmenti della società a tutta una serie di obblighi, onde ovviare di procedere in ordine sparso. Così rileva una raffigurazione malata del popolo da equiparare e/o assimilare al gregge, laddove i pastori ed i loro cani danno ritmo all’andamento sociale e culturale.

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Così nei tempi, come i nostri, si assiste a tendenze governative ovvero a rappresentazioni e percezioni (s)proporzionate di rischi sociali, che addivengono alla costruzione di una dialettica ove da una parte si situano i difensori dell’esercizio delle libertà, mentre contro si collocano coloro i quali vivono diffusamente e radicalmente le paure.

Lo scontro conseguentemente avviene tra paure e libertà, ovvero tra coraggiosi spavaldamente responsabili e chi invece, vivendo un certo diffuso conformismo, aderisce al pensiero comune ovvero unico. Beh … se le riflessioni hanno un senso e sono serene nell’esplicarsi giunge facile comprendere che il male non sta nella discussione pubblica ovvero nella sterile contrapposizione, perché questa aiuta a capire o garantire quei minimi segni di democrazia, ove queste siano argomentate, senza farsi trascinare dalle arbitrarie presunzioni.

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Tuttavia l’enfasi utilizzata diviene spesso patologica laddove si insinua nell’utilizzo marcatamene politico delle paure e delle libertà, ovvero nella strumentalizzazione a cui vengono dedicate questo tipo di attenzioni. Così le innaturali costrizioni provvedono non solo ad imporre e restringere gli ambiti di libertà, ma soprattutto tendono a ridurre gli spazi di riflessione per poter coltivare aneliti di libertà. In questa rappresentazione la riflessione viene un passo prima rispetto al risultato che si vuole ottenere, alle spinte che si vogliono contenere ed alle tecniche utilizzate per delimitarne l’effetto. Quindi la riflessione laddove non è più libera diviene riflesso di un impoverimento delle intelligenze, che non potranno più esplicare il proprio potenziale.

Sicchè tutto questo assume le vesti di regime ed ideologia, ovvero ossatura che rischia di rimanere compressa in una camicia di forza. Il tentativo è terribile perché l’uomo, rispetto ai millenni trascorsi orientato da sempre verso la più ampia gratificante e libera realizzazione, rimane rinchiuso in un paradigma che esaurisce le ragioni dell’uomo visto ed interpretato come artefice del proprio destino, essendo assimilato e/o fagocitato, non si sa quanto volontaristicamente e consapevolmente, da un apparato di regole di cui un’entità astratta (un redivivo Leviatano) che guida la sua castrazione e lo conduce in un territorio ideale in cui si rischia di farlo affogare tra le liquide incertezze della perenne e permanente precarietà contemporanea.

Di fronte a quest’anima disastrata sovvengono le emozioni romantiche ed i sentimenti titanici che forniscono il movente per poter riportare significato alla dignità umana, quella che, responsabilmente, per “tentativi ed errore” (Popper), coltiva un “pensiero critico” che serve e spinge a far fare passi avanti alle civiltà, combattendo le battaglie di verità avendo la forza di guardare in faccia la realtà.

In questo crinale ogni amputazione dell’esercizio di libertà ci riporta ai miti greci che tra Prometeo e Sisifo fanno oscillare la condizione umana tra la ricerca e lo sforzo titanico che si affermano, tendenti a portare la luce nella caverna buia delle paure e degli immobilismi. Ebbene guardare avanti e vedere capendo equivale a svolgere il ruolo proprio dell’uomo di importare dall’intelligenza del pensiero occasioni per far volare alta l’affermazione del desiderio e della volontà, dell’impegno e della visione per farne scaturire scoperte innovative ed una diffusa idea di civiltà.

Ecco che oggi la materia del contendere si deve incentrare su quali strumenti utilizzare per ampliare il raggio di riflessione e quale forma (istituzionale) ci possa condurre oltre i limiti angusti di una democrazia ipocrita.

Setaro

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