Il caos attuale dell’Africa del Sud riflette il ‘miracolo’ delle democrazie della nuova Africa

L’Africa del Sud, una volta nell’ammirazione generale delle democrazie occidentali, sta scivolando verso una situazione simile a quella del suo vicino Zimbabwe, Rodesia, con capitale Salisbury, oggi diventata Harare. Un paese, dove le ricchezze minerarie erano importanti – oro, platino, diamanti, cromo – ma anche dove l’agricoltura era fiorente e considerata il granaio d’Africa.

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Oggi, non è più così e dopo i lunghi regimi post – Mandela, Mugabe, Zuma e Ramaphosa tra tutti -, questa terra è sconvolta da fame, carestie e da qualche settimana da violente scene di veri e propri saccheggi con oltre 75 morti nelle due città più grandi di Johannesburg e Durban.

Il pretesto agli scontri è stato dato dalla condanna a 15 mesi di Jacob Zuma, presidente dal 2009 al 2018, accusato di tanti capi d’accusa che vanno dall’associazione mafiosa al riciclo di danaro, passando da corruzione, frode, evasione fiscale, tutto nel corso della sua Presidenza ed ora incarcerato, per oltraggio alla Corte, in attesa dei processi più gravi.

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I fatti contestati all’ex presidente, amico fraterno di Nelson Mandela, portano in giudizio anche molti membri dell’ANC (il congresso nazionale africano) fondato dal capo storico. Mentre oggi le violenze etniche hanno superato il rugby come sport nazionale, anche l’espropriazione collettiva senza compenso delle terre degli agricoltori bianchi è diventato argomento principale dell’attualità.

L’ANC, il Congresso Nazionale Africano, nel segno di Nelson Mandela, dovrebbe portare alla riflessione le democrazie occidentali quando afferma che ormai il tempo della riconciliazione è scaduto ed è iniziata l’ora della giustizia.

I deputati sudafricani avevano votato a grande maggioranza, con il sostegno massiccio dell’estrema sinistra, una risoluzione che dava avvio ad un programma di espropriazione per pubblica utilità delle terre dei 35.000 agricoltori bianchi.

Africa del sud e simbolismo della vendetta razziale

Ma non sono ragioni di pubblica utilità quelle per le quali i bianchi vengono espropriati dei loro beni; qui il simbolismo della vendetta razziale è molto forte e rappresenta la linea perseguita dall’ANC. Senza per altro dimenticare che questi agricoltori producono per tutta l’Africa australe e la fine delle loro attività, determinerebbe un cataclisma economico e una carestia simile a quella che colpisce gran parte dell’intero continente.

Travolto oggi dagli eventi, l’attuale presidente Cyril Ramaphosa paga il lassismo che lo ha contraddistinto a proposito della difesa delle fattorie bianche attaccate dalla popolazione indigena sopportata dagli estremismi dei combattenti per la libertà economica (EFF) di Julius Malema con il tacito accordo dei governo.

In venti anni di potere assoluto, l’ANC dell’icona Mandela ha rovinato e portato verso un vero naufragio economico e sociale un Paese che una volta era prospero. Parecchi miliardi di rands dovevano essere destinati alla riorganizzazione e alla modernizzazione delle forze di polizia e dell’esercito e, non è un segreto per nessuno, sono finiti nelle tasche di ministri e dei responsabili ANC.

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La disoccupazione ha superato il 40% e il reddito della popolazione nera inferiore del 5%

Con gli scontri di oggi, e con carestie, corruzione, violenze senza fine, la disoccupazione ha superato il 40% e il reddito della popolazione nera inferiore del 5% rispetto a quello che era stato sotto il regime bianco, con l’eccezione del solo comparto agricolo, forse perché ancora controllato in parte dai bianchi e, a tutt’oggi, unico settore produttore di reddito.

In “Piangi terra amata”, un libro del 1948 di Alan Paton, ancora in regime pre-apartheid, un prete zulù abbandonava la campagna per raggiungere la capitale in cerca di lavoro, denunciando la disintegrazione della società indigena e le paure dei bianchi. Se tornasse oggi Kumalo, quel prete zulù, si accorgerebbe certamente che il suo Paese piange ancora, ma non per le stesse ragioni.

L’Europa, da parte sua, tace, così i fautori della grande sostituzione e gli apostoli dei pentimenti post coloniali avanzano spediti con i favori dell’Europa, sempre più etno-masochista nei confronti delle popolazioni continentali dove la nozione di razza, politicamente non corretta, è fuori gioco.

A differenza del multiculturalismo che si vuole imporre oggi a tutti i costi, nell’era dell’antirazzismo totalitario, forse solo rispolverando il “razzialismo” – concetto tanto caro a Winston Churchill che lo riteneva tributario per definizione dei fattori ereditari e razziali, ma ben distinto dal razzismo perché non creava una gerarchia dei gruppi umani – si potrebbe costruire una risposta valida al caos, alla crisi delle realtà sociali ed economiche dell’Africa del sud.

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