Castellammare | Armi, estorsioni e usura: 16 arresti nel clan D’Alessandro

Un nuovo duro colpo è stato inferto dai militari dell’Arma al clan D’Alessandro di Castellammare di Stabia (provincia di Napoli). Questa mattina i carabinieri del comando provinciale hanno eseguito una misura di custodia cautelare, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e del gip del Tribunale locale, nei confronti di 16 persone di cui 15  in carcere e una agli arresti domiciliari.

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Gli indagati sono indiziati, a vario titolo, dei reati di associazione di tipo mafioso, estorsione continuata e in concorso, detenzione illegale di arma da sparo, reati tutti aggravati dalle finalità mafiose e per aver agito con la  forza intimidatrice dell’appartenenza al clan D’Alessandro, di Castellammare di Stabia e operando anche nei territori limitrofi.

L’operazione è il risultato di una complessa attività investigativa coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e affidata al Nucleo Investigativo di Torre Annunziata che riguarda «un ampio spettro temporale compreso tra il 2017 e il 2020, dove si è dimostrata l’attuale operatività del clan, evidenziando un quadro recente e aggiornato in ordine alla struttura, i ruoli e le attività illecite poste in essere dal clan, da sempre operante in Castellammare di Stabia e capace di determinare influenze criminali anche sul territorio limitrofo dei Monti Lattari, pertinenza del clan alleato Afeltra – Di Martino, e con estensioni sino alla penisola sorrentina» si legge in un comunicato dell’Arma.

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Gli inquirenti hanno ricostruito «l’articolazione criminale ricomposta, tra il 2017 e il 2018, intorno alle figure criminali dalla storica militanza quali Sergio Mosca detto “zì Sergio o’Vaccaro”, Giovanni D’Alessandro soprannominato “Giovannone” e Antonio Rossetti “Guappone”, reggenti ad interim del clan e componenti di un direttorio creato ad acta in assenza di appartenenti di rango della famiglia D’Alessandro, curando gli interessi della famiglia fino alle scarcerazioni eccellenti sopraggiunte nel periodo successivo».

Documentate diverse estorsioni «poste in essere dai D’Alessandro nel suo capillare controllo del territorio, avvalendosi del braccio armato costituito da Antonio Longobardi alias “Ciccillo” e Carmine Barba», che si sono rivelati «essere anche i custodi dell’arsenale del clan che non veniva tenuto in un unico luogo di custodia ma parcellizzato in punti diversi e noti solo agli stessi per eludere i sequestri. Ulteriore aspetto emerso dalle indagini è l’impiego di un imprenditore edile, Liberato Paturzo, votato a soddisfare gli interessi del clan attraverso una serie di servigi quali partecipazioni ad appalti pubblici, informazioni su aggiudicazioni di pubblici incanti, segnalazioni d’imprenditori da avvicinare per l’imposizione del racket. I ricavi delle estorsioni venivano reinvestiti nel giro dell’usura che moltiplicava le rendite».

Sotto indagine anche il patrimonio dei familiari degli indagati in esito alle quali sono state riscontrate sperequazioni tra i redditi di ciascuno ed i beni o liquidità in possesso. Indagini che hanno consentito l’emissione da parte del Gip presso il Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, di un decreto di sequestro preventivo relativamente a beni mobili (6 autoveicoli e 2 motocicli), immobili (2 appartamenti), rapporti finanziari (11 tra conti correnti, libretti di risparmio, depositi di titoli, carte di credito), imprese (3 nel settore della ristorazione, dell’edilizia e della somministrazione di alimenti e bevande) e quote di società (2 quote di società relative ad imprese edili), per un valore complessivo stimato in 6 milioni di euro.

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