Italia Viva tiene il governo appeso a un filo. Per Conte il ‘remake’ di «Enrico stai sereno»

di Dario Caselli

Il governo Conte è sempre più appeso ad un filo. E’ questa l’immagine che a tarda sera si riflette nella fontana davanti a Palazzo Chigi. Quello di un Esecutivo dove ormai la maggioranza traballa pericolosamente.

E dire che ieri la giornata non era iniziata male. La sera prima Conte aveva incassato il favore dei sindacati sulle misure principali del dl Maggio e a primissima mattina a Radio Anch’io il ministro Lamorgese aveva assicurato che sul tema della regolarizzazione dei migranti all’interno della maggioranza c’era condivisione. Bastano però pochi minuti per far svoltare la giornata verso il brutto. Vito Crimi, capo politico del M5S, annuncia il ‘no’ dei pentastellati alla regolarizzazione dei migranti e subito il ministro renziano Teresa Bellanova annuncia la disponibilità a dimettersi, perché «non faccio tappezzeria».

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Pochi minuti ed ecco la tempesta, che per qualcuno è perfetta e risponderebbe a un piano quasi preordinato che dovrebbe portare il governo Conte a cadere entro il mese di giugno perché ormai incapace di reggere la sfida, ma forse sarebbe meglio il dramma, della crisi economica.

E infatti in questa giornata il dl Maggio passa in secondo piano. Quello che doveva essere varato a metà aprile e che per Conte e Gualtieri dovrebbe far ripartire imprese e redditi. Rumors raccontano che il decreto dovrebbe arrivare in questa settimana, ma nemmeno il premier Conte ha certezze al punto che dalle riunioni a Palazzo Chigi con le imprese e le altre categorie si limita a far trapelare che «cercherà in questa settimana di portare al CdM il decreto».

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Ma i nodi sono tanti. Sul reddito di emergenza, ad esempio, sembrava che fosse stata raggiunta un’intesa verso una misura temporanea e non strutturale, come invece avrebbe voluto il M5S, ma a mettersi di traverso è stata Italia Viva che chiede di cancellarlo per spostare le risorse sugli investimenti nel settore produttivo. Un’ipotesi potrebbe essere quella di rimodulare l’intera proposta, ma chiaramente serve il via libera di tutta la coalizione.

Lo scontro vero però è sulla regolarizzazione dei 600mila migranti al punto che per tutta la giornata le riunioni convocate non sono riuscite a trovare un punto di caduta. Se ne riparlerà oggi quando gli esponenti di maggioranza si rivedranno. Ma l’intesa dipenderà dal chiarimento tra Conte e Italia Viva per la quale l’incontro viene comunque giudicato «un fatto positivo» perché «sembra che abbiano capito che senza di noi non c’è maggioranza, specie al Senato. Meglio tardi che mai». E’ probabile piuttosto che il premier voglia capire le reali intenzioni di Iv, che inoltre annuncia di voler porre sul tavolo 3 questioni: Bonafede, il piano shock e la ripartenza economica.

Un menu senza dubbio indigesto per gran parte della maggioranza, a partire dal M5S che ieri a tarda notte nel corso di una call dei parlamentari alla presenza del capo politico Vito Crimi ha confermato la contrarietà alla regolarizzazione dei migranti. Una posizione per la verità non compatta visto che sono emersi diversi distinguo, a conferma che il tema rischia di minare l’unità della stessa pattuglia parlamentare.

Proprio per questo fonti del M5S hanno chiarito a margine della call che non c’è volontà di rottura, piuttosto la considerazione che una regolarizzazione per tutti, senza limiti, non servirebbe a risolvere il problema del caporalato. Bisognerebbe invece trovare una soluzione attraverso una mediazione capace di legare il permesso di soggiorno al contratto di lavoro e dunque alla regolarizzazione.

Come detto molto dipenderà dalla riunione di Conte con Italia Viva, prevista per le 15, perché secondo alcuni si starebbe ripetendo la stessa sequenza che alla fine portò alla caduta del governo Letta con un Renzi nuovamente decisivo come nel 2014.

Ma a dover preoccupare Conte è anche la posizione del mondo imprenditoriale con cui giorno dopo giorno sta calando un silenzio sempre più pesante. L’incontro di ieri mattina, al quale il premier non ha partecipato per via di altri impegni, non è andato bene nel senso che è servito soltanto a ribadire le rispettive posizioni e stabilire qualche no. Come quello sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario che i sindacati la sera prima avevano apprezzato ma che gli industriali hanno rispedito al mittente.

Contrarietà del mondo delle imprese che sarebbe legata anche al fatto che della liquidità promessa, delle risorse annunciate finora si è visto poco. Lo ha confermato anche Sace in un’audizione nella Commissione d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, spiegando che finora sono «tre gli interventi presentati da due banche diverse e sono attualmente in corso circa 170 istruttorie da parte delle banche per altrettante operazioni di finanziamento per un valore complessivo di circa 12,5 miliardi di euro».

Cifre ben lontane dai 400 miliardi che proprio un mese fa Conte e Gualtieri annunciavano in una conferenza stampa per presentare il dl Liquidità imprese.

Se a questo si aggiunge la drammatica notizia del suicidio di un imprenditore del napoletano, impiccatosi perché travolto dalla crisi, ecco spiegato il gelo tra governo e imprese. Ed a poco servono le scuse dei giorni scorsi formulate pubblicamente da Conte o la notizia che il governo ha pronta una serie di misure di semplificazione per agevolare la ripresa, le opere pubbliche e l’accesso al credito.

Perciò il rischio che da un momento all’altro la situazione possa precipitare è concreto, il che è testimoniato anche dai mille emendamenti targati Pd al dl Liquidità imprese alla Camera in Commissione. Il segnale che persino all’interno di un partito governista come il Pd il livello del disagio ha raggiunto livelli di guardia.

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