Al Sud mancano i ‘chilometri’ e non si arriva da nessuna parte. Se non a piedi

Per recuperare i ritardi occorre una classe politica matura e lungimirante che il Merdidione non ha, ma della quale c’è urgente necessità

Nuccio Carrara - Sud - ilSud24
Nuccio Carrara

l mantra che ogni governo utilizza prima di finanziare qualsiasi intervento pubblico è: «Come reperire le risorse?». La domanda scatena un esercizio di abilità economica e distributiva che coinvolge persino le chiacchiere da bar. Per ogni cosa occorrono soldi. E questa è un’ovvietà. Ma se a parlare di mancanza di denaro sono i più alti rappresentanti dello Stato, ci tornano in mente le parole di Ezra Pound: «Dire che uno Stato non può perseguire i suoi scopi per mancanza di denaro, è come dire che un ingegnere non può costruire strade per mancanza di chilometri».

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I ritardi sono conseguenza della falsa unità e dell’okkupazione militare del Sud

E, come è noto, i ‘chilometri’ mancano soprattutto al Sud le cui difficoltà economiche e finanziarie hanno indubbiamente delle ragioni storiche. L’unità d’Italia non è stata realizzata nel migliore dei modi, gli eserciti piemontesi hanno di fatto occupato militarmente le regioni meridionali, ne hanno depredato le risorse e compromesso irrimediabilmente lo sviluppo. E’ quel che capita quando ci si imbatte in chi si fa carico di ‘liberare’ i popoli da qualcuno o da qualcosa. Ma ciò è acqua passata e non si può lasciare che gli anni e i secoli scorrano senza sforzarsi di trovare delle soluzioni.

Un circolo vizioso, in cui cause ed effetti si alimentano a vicende con esiti perversi

La crisi ha morso anche, e forse soprattutto, le regioni del Nord che non vi erano abituate e d’un sol colpo sono sembrate sfumare le elaborate analisi sociologiche che vorrebbero un Sud arretrato e povero per colpa della buroocrazia, dei politici corrotti, della malavita organizzata, della corruzione e forse anche del caldo e delle zanzare. Magari confondendo gli effetti con le cause, quasi a voler dire che è il degrado che porta la povertà e non viceversa, dimenticando il circolo vizioso in cui cause ed effetti si alimentano a vicenda con esiti perversi.

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Il rischio che nel prossimo futuro la vera unità si realizzi grazie alla povertà diffusa

Secondo i dati forniti dalla Fondazione Migrantes sono la Lombardia ed il Veneto che nel 2015 hanno registrato il più alto numero di partenze verso il resto d’Europa per ragioni di lavoro, mentre il Piemonte è stato superato solo dalla Sicilia e dal Lazio.

Fin quando ci sono i soldi tutto va bene ma, quando mancano, chiudono le industrie, si licenziano gli operai, si diffonde il disagio così al Nord come al Sud ed il vantaggio accumulato nel corso degli anni, si trasforma in un contraccolpo più forte e più devastante, rispetto ai territori storicamente costretti a convivere quotidianamente con le difficoltà economiche e sociali. Forse è nella direzione della povertà diffusa che, in un prossimo futuro, si realizzerà la vera unità d’Italia.

A questo punto, il problema di come reperire le risorse per far ripartire l’economia diventa sempre più difficile. Lo Stato, che non può utilizzare una sua moneta e che ne utilizza una la cui emissione sfugge al suo controllo, per rifornirsi di denaro ricorrere agli usurai, impropriamente denominati ‘investitori istituzionali’, ed è costretto a frugare nelle tasche dei cittadini per poterli ripagare del prestito ricevuto e degli interessi maturati.

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Ma davvero spendere i soldi dove si sono sempre spesi, verso le regioni più ricche, serve a evitare la «spesa pubblica improduttiva»

Se il reperimento di denaro pubblico segue vie perverse, altrettanto può dirsi della spesa pubblica. E qui entra in campo la teoria volta ad evitare la “spesa pubblica improduttiva”. Un espediente per spendere i soldi dove si sono sempre spesi, verso le aree più ricche dello stivale, dove tutto funziona meglio, dalla pubblica amministrazione, ai trasporti, agli investimenti privati e pubblici. Nel Meridione, purtroppo, bisogna pagare lo scotto dei ‘ritardi storici’ che non consentono, in una visione premiale della spesa pubblica, di raggiungere un rapporto ottimale tra costi e ricavi. In altre parole, il Meridione dovrà accontentarsi di quel che passa il convento e rimanere intrappolato nei suoi problemi endemici e cronicizzati.

Non è semplice pensare di uscire agevolmente ed in breve tempo da una simile spirale. Sicuramente è utile analizzare i punti di forza più tradizionali: i beni culturali, il patrimonio naturalistico, le tradizioni, i prodotti tipici locali ecc. Ma, un lavoro di valorizzazione e promozione passa inevitabilmente dalla disponibilità di risorse finanziarie. Il serpente si morde la coda!

Gli sforzi dell’Ue, più che a risolvere i problemi dei cittadini, sono rivolti al superamento delle crisi bancarie

In un tale contesto, gli sforzi dell’Unione europea non sono rivolti al superamento della crisi in cui versano le popolazioni, ma al superamento delle crisi in cui versano le banche. Attualmente la BCE stampa 80 miliardi di euro al mese e li fornisce, a tasso zero, agli istituti bancari che, impegnati nel ‘gioco d’azzardo’ planetario, con la compravendita di titoli di ogni genere, preferibilmente tossici, che loro chiamano «investimenti», si trovano in debito di ossigeno, cioè a corto di liquidità. Non è un caso che quasi nulla di quella enorme massa di denaro, sia stato immesso nel circuito economico reale per fare ripartire le aziende in difficoltà. A ciò va aggiunto che le pubbliche amministrazioni sono escluse dai finanziamenti della BCE in forza di un’assurda previsione normativa dell’Unione europea. In queste condizioni, il Sud, che ha sempre sofferto di enormi difficoltà di accesso al credito, oggi è anche vittima privilegiata della stretta creditizia generale.

Le amministrazioni del Sud facciano rete e costruiscano insieme una vera banca per il Mezzogiorno

Inoltre, le amministrazioni pubbliche, in forza di vincoli europei, non possono soccorrere le aziende in difficoltà per non «turbare» la concorrenza. Di assurdità in assurdità! Ma rimane uno spiraglio nella trappola normativa: le pubbliche amministrazioni possono creare un loro istituto di credito. A questo punto, è urgente che esse facciano rete per soccorrersi a vicenda e promuovere interventi di rilancio economico dei territori amministrati. La base finanziaria potrebbe essere costituita dal denaro che normalmente affluisce alle casse delle regioni e degli enti locali e che attualmente è depositato presso istituti di credito privati.

Come le altre banche, la banca pubblica potrebbe accedere ai prestiti della BCE e, rinunciando a pratiche usuraie, aiutare le piccole e medie imprese e le popolazioni locali. Per fare questo occorre una classe politica matura e lungimirante che ancora il meridione non ha, ma di cui c’è urgente necessità. Prima che sia troppo tardi, prima che l’Europa chiuda anche questa ultima finestra normativa in nome della privatizzazione dell’universo mondo.

Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario

alle riforme istituzionali

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