Voto di scambio politico mafioso, 10 arresti tra Campania e Abruzzo: nuovi guai per Alfieri

Al centro dell’inchiesta la candidatura a sindaco di Alfieri del 2019

La Direzione Investigativa Antimafia di Salerno ha eseguito stamani l’arresto di dieci indagati nella provincia di Salerno, tra Torchiara, Capaccio Paestum, Terni, Baronissi e a Sulmona, in provincia di L’Aquila, nell’ambito di una indagine dove si contestano in reati di voto di scambio elettorale politico mafioso, tentato omicidio aggravato dal metodo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, detenzione, porto e cessione di armi da guerra e comuni da sparo e favoreggiamento personale.

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Le misure cautelari – arresti in carcere e ai domiciliari – sono state emesse dal gip di Salerno su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Salerno. Alfieri, eletto con il Pd, era stato già arrestato il 3 ottobre dello scorso anno nell’ambito di un’inchiesta su appalti truccati quando era al vertice della Provincia e della cittadina salernitana dimettendosi successivamente dai suoi incarichi. Successivamente aveva ottenuto i domiciliari.

Le contestazioni

Oltre ad Alfieri, le misure cautelari di un’indagine durata due anni, dal 2022 al 2024, riguardano Roberto Squecco, ritenuto esponente dell’area imprenditoriale del clan Marandino attivo a Capaccio Paestum e già condannato in via definitiva per 416 bis, e la moglie Stefania Nobili, consigliere comunale a Capaccio Paestum all’epoca dei fatti. Al centro dell’inchiesta, la candidatura a sindaco proprio a Capaccio Paestum di Alfieri nel giugno 2019.

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Secondo i pm, c’era un patto elettorale politico mafioso tra Squecco, la moglie e Alfieri per raccogliere voti in favore del politico in cambio del mantenimento del Lido Kennedy che all’epoca era già al centro di provvedimenti giudiziari, struttura che faceva capo a Squecco attraverso un prestanome. Il lido avrebbe dovuto essere abbattuto parzialmente perché era pericoloso, ma Alfieri, una volta eletto sindaco avrebbe dovuto impedirne l’abbattimento attraverso un appartenente alla polizia locale, Antonio Bernardi, e un dipendente dell’ufficio cimiteriale di Capaccio Paestum, Michele Pecora.

I due avrebbero anche avvicinato Maria Rosaria Picariello assessore dimissionaria alle politiche sociali del Comune, che avrebbe riferito poi ad Alfieri i messaggi minatori di Squecco, come emerso da intercettazioni, perché alla fine il politico dem aveva violato il patto e l’abbattimento c’era stato.

L’attentato

Squecco avrebbe contattato anche tre persone di Baronissi, Antonio Cosentino, Domenico de Cesare, e Angelo genovese, due dei quali pregiudicati, commissionando un attentato dinamitardo ai danni di Alfieri, preparato nei minimi particolari con sopralluoghi e studio delle mappe, ma poi non portato a compimento, perché l’imprenditore non si sarebbe messo d’accordo con i tre. A questi la procura ha contestato il possesso di esplosivi armi da guerra e comuni e da sparo tra i quali un Uzi e un Kalashnikov.

Domenico De Cesare poi, deve rispondere anche di tentato omicidio nei confronti di Angelo Genovese, esponente del clan omonimo per una tentata estorsione. Maria Rosaria Picariello è deve rispondere di favoreggiamento personale perché alla polizia giudiziaria ha reso dichiarazioni mendaci per aiutare Squecco, Bernardi e Pecora.

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