Morta a 13 anni, l’autopsia: nessun suicidio, la piccola Aurora fu spinta giù

La ragazzina deceduta dopo un volo di sette metri

La morte di Aurora Tila è incompatibile con un suicidio. La ragazzina è stata probabilmente spinta giù. L’ipotesi – sul caso della 13enne deceduta a Piacenza il 25 ottobre scorso, dopo un volo di sette metri dal terrazzo del palazzo dove abitava con la madre – è avanzata dal medico legale Giovanni Cecchetto, dell’istituto di medicina legale dell’Università di Pavia, nelle conclusioni dell’autopsia.

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Gli esiti, come riportato dal quotidiano piacentino Libertà, evidenziano che le lesioni nella parte posteriore del cranio di Aurora farebbero pensare che sia caduta all’indietro, probabilmente in seguito a una spinta, e che non si sia lanciata in avanti come invece presupporrebbe l’intenzione di un gesto volontario. Uno scenario che va quindi a sovrapporsi col quadro descritto nell’ordinanza di custodia cautelare del Tribunale per i minorenni di Bologna nei confronti del 15enne, ex fidanzato di Aurora, che è stato arrestato a fine ottobre con l’accusa di omicidio volontario e che attualmente si trova in carcere. Il giovane, difeso dall’avvocato Ettore Maini, aveva inizialmente detto agli investigatori che Aurora era caduta da sola. E ha negato ogni addebito.

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Aurora, è emerso dall’autopsia, presentava numerose fratture, tutte riconducibili alla caduta dall’alto. Ma quelle letali sarebbero state alla testa. Lesioni che avrebbero provocato una morte immediata. Altro punto cruciale dell’esame autoptico è quello che si è concentrato sulle lesioni riscontrate sulle mani della ragazza e, in particolare, sulle nocche.

Le testimonianze e le indagini

I carabinieri del nucleo investigativo di Piacenza, a cui sono state affidate le indagini che proseguono con accertamenti ancora in corso, hanno raccolto nei mesi scorsi le testimonianze di tre persone che avrebbero visto e sentito ciò che avvenne tra Aurora e l’ex sul terrazzo. Due testimoni avrebbero assistito alla scena, pur da una certa distanza. Una terza persona avrebbe sentito le urla disperate della ragazzina.

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Dal loro racconto emerse un dettaglio agghiacciante: Aurora sarebbe stata vista aggrappata alla ringhiera mentre il ragazzo le colpiva le mani a pugni per farla cadere giù. Quello delle lesioni sulle mani di Aurora era un particolare emerso già con i primi accertamenti medico legali sul corpo della vittima, segni che erano stati giudicati compatibili coi colpi dell’ex mentre lei stava disperatamente tentando di salvarsi. E fu uno degli elementi che portarono gli investigatori a convincersi delle responsabilità del 15enne, insieme alle testimonianze.

Nell’interrogatorio a cui era stato sottoposto il 25 ottobre il 15enne aveva detto che Aurora era caduta da sola. E anche successivamente aveva negato ogni accusa. Nel quadro di elementi raccolti, anche i messaggi con cui Aurora aveva confidato alle amiche, alla sorella in particolare, atteggiamenti possessivi e violenti del 15enne. Proprio la sorella fin dall’inizio aveva accusato l’ex fidanzato, denunciando sui social il suo comportamento, postando le chat con cui la vittima si sfogava.

La famiglia di Aurora aveva anche detto ai militari che la 13enne ne aveva parlato con i servizi sociali, ma il Comune di Piacenza replicò che non era pervenuta nessuna segnalazione. Nei giorni successivi alla tragedia circolarono anche dei video. Uno che testimoniava la presenza di notte dell’ex fidanzato nei pressi del palazzo dove viveva Aurora, pochi giorni prima della morte della ragazzina. In un altro era stata ripresa la scena del 15enne che insultava, strattonava e picchiava Aurora alla fermata di un bus.

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