Telecamere e rilevatori, la guerre dei clan combattute anche con la tecnologia

Gli specialisti al servizio della camorra lavorano tra rione Traiano, San Giovanni a Teduccio, Scampia e Secondigliano

Telecamere a circuito chiuso, allarmi acustici azionabili a distanza, disturbatori di frequenze e strumenti in grado di rilevare la presenza di microspie. Sono queste le nuove ‘armi’ utilizzate dalle organizzazioni criminali per tenere testa all’azione delle forze dell’ordine. Dal rione Traiano a Scampia, da Secondigliano a San Giovanni a Teduccio, la sfida hi tech della criminalità subisce evoluzioni continua. Non è solo ‘deduzione’ investigativa. Sono gli stessi pentiti a raccontare di come i clan di camorra siano sempre più all’avanguardia sotto il profilo tecnologico utilizzando strumenti, molto spesso, superiori a quelli in dotazioni agli stessi investigatori.

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Vero appassionato della ‘sicurezza high tech’, ad esempio, era Raffaele Amato, il boss degli ‘scissionisti’. A raccontarlo sono alcuni collaboratori di giustizia come Biagio Esposito, Luca Menna e Luigi Secondo che, nei verbali raccolti dai magistrati Antimafia, hanno raccontato di come ’o Lello, spendesse periodicamente centinaia di migliaia di euro per acquistare, sul mercato internazionale, apparecchiature in grado di individuare microspie o gps posizionati nelle abitazioni o sulle auto in uso ai suoi affiliati.

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Gli scissionisti

Un compito, hanno proseguito i collaboratori, che era stato affidato ad alcuni specialisti, tra cui un tale, conosciuto con il soprannome di “Sasà ’o bulgaro”. Era lui, infatti, ad eseguire le bonifiche periodiche anche sulle piazze di spaccio gestite dagli scissionisti. A lui, inoltre, i vertici degli Amato-Pagano commissionarono anche «un sistema di telecamere, circondando il Terzo Mondo perché si volevano eliminare i Di Lauro».

A riferirlo fu Luca Menna: «Le telecamere vennero messe nel palazzo abbandonato di fronte al distributore di benzina, la televisione che registrava su video era posizionata in una casa in un vicolo dove abitava il padre di Gennaro Marino. Venivano registrati i movimenti di ’o pazz, ’o mellone, ora morto perché ucciso, oltre ad altri esponenti di rilievo del clan Di Lauro o, meglio, dei killer. Noi dovevamo registrare gli orari dei movimenti di queste persone su un foglio di carta e sul dischetto che registrava, poi, consegnavamo il tutto a Cesare Pagano e Raffaele Amato nel covo di Mugnano».

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Menna, inoltre, ha riferito che in occasione di una ‘bonifica’ eseguita presso la sua abitazione alle Case Celesti il ‘bulgaro’ portò «una valigetta con all’interno alcuni strumenti che gli permettevano di vedere anche la presenza di una telecamera e cosa questa stesse registrando. In quell’occasione c’era una telecamera in una casa privata che era in funzione, a circa 300 metri da casa mia, e lui, con il macchinario, mi fece vedere cosa stesse registrando».

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