Matteo Messina Denaro: il primo faccia a faccia con i magistrati

Il boss trapanese ha scelto di rispondere alle domande dei pm

Nel primo vero faccia a faccia con i magistrati Matteo Messina Denaro non ha scelto il silenzio. Per oltre un’ora ha risposto alle domande del procuratore Maurizio De Lucia e dell’aggiunto Paolo Guido, venuti da Palermo per interrogare il boss arrestato il 16 gennaio alla clinica La Maddalena. I due magistrati sono arrivati intorno alle 14.30 nel carcere dell’Aquila dove Messina Denaro è detenuto e curato nella stessa saletta dove si è svolto il colloquio. E sono andati via dopo circa tre ore. Ma gran parte del tempo è stato impiegato per la preparazione del confronto. Pare che le risposte del padrino non abbiano dato alcun contributo importante, o almeno significativo, al quadro dell’inchiesta.

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Tanto è vero che tutto si è risolto in poco tempo e il verbale non è stato neppure secretato. Se ne deduce che non contenga colpi di scena né elementi decisivi. Ma non per questo il velo del riserbo da parte dei magistrati si è allargato. Se per la forma questo era il vero interrogatorio del boss dopo 30 anni di latitanza va ricordato che Messina Denaro aveva già visto per pochi minuti i magistrati subito dopo l’arresto. Il tempo necessario perché De Lucia potesse dirgli che era «nelle mani dello Stato» e che «riceverà piena assistenza medica».

Cosa che si sta realmente facendo nel carcere aquilano di massima sicurezza. Anche se non ci sono indiscrezioni sul contenuto del colloquio, è facile ritenere che le domande dei magistrati abbiano cercato di approfondire il tema delle protezioni, con particolare attenzione alla rete di complicità che l’inchiesta sta giorno dopo giorno rivelando.

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Il ruolo del medico Alfonso Tumbarello

Uno dei punti da chiarire è il ruolo del medico Alfonso Tumbarello il quale ha curato e assistito, con 137 prescrizioni, il boss che andava in giro con l’identità del geometra Andrea Bonafede. Tumbarello, affiliato a una loggia massonica di Campobello di Mazara dalla quale è stato sospeso, sostiene di non avere mai avuto sospetti sull’uso di un nome di comodo. Ma gli investigatori hanno messo sempre in discussione la credibilità del medico, che per questo è stato arrestato.

Un altro focus dell’inchiesta prende di mira il covo di Campobello di Mazara, messo a disposizione da Bonafede, dove sono state trovate molte tracce della vita clandestina, ma vissuta alla luce del sole, dell’uomo più ricercato d’Italia. Oltre a indumenti femminili, appartenuti a donne con cui Messina Denaro si incontrava, sono stati ritrovati documenti e «pizzini»: uno era in una busta indirizzato alla figlia, ma mai giunto alla destinataria.

Non è da questi elementi che sarà possibile ricomporre la rete di relazioni che hanno assicurato al boss la lunga latitanza. Ma servono a delineare un quadro di scambi e di contatti, un terreno nel quale Messina Denaro non sembra disposto a portare i magistrati e gli investigatori. Qualche traccia può dare invece il senso e la natura di alcune relazioni. Indicativa la dedica stampigliata nel portachiavi che il boss portava in tasca nel giorno dell’arresto. La persona che glielo aveva regalato aveva fatto incidere la frase: «L’uomo, il mito, la leggenda sei tu».

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