Riforma della Giustizia: ora tocca ai cittadini la decisione finale

Dov’erano i giudici contabili quando Conte inventò superbonus e rdc?

Giovedì il Senato ha ribadito il suo precedente «sì» alla riforma della Giustizia che, con i due voti già arrivati dalla Camera in precedenza, ha completato l’iter previsto dalla nostra Magna Charta per poter rimodulare una norma costituzionale. Ora, però, inizia il tratto di strada più lungo, irto e tortuoso per arrivare «a scala reale». Poiché la riforma non ha ottenuto in Parlamento il 75% dei voti dell’aula richiesto dalla Costituzione, nei prossimi 90 giorni assisteremo a una corsa sfrenata fra maggioranza e opposizione per chi arriverà prima a raccogliere le firme necessarie, come previsto dalla Carta, per l’indizione del referendum. In tal caso si voterà tra la fine di marzo e la metà di aprile 2026.

Da oggi, quindi, cambiano il campo di gioco e i protagonisti: non più Chigi, Montecitorio e Palazzo Madama, ma piazza, cittadini e urne; non più solo maggioranza e opposizione, bensì centrodestra e centrosinistra, «comitati per il sì» (fra cui quello istituito il 16 luglio scorso dalle Camere Penali) e «comitati per il no», fra cui quello dell’Associazione Nazionale Magistrati, che cerca di mostrarsi autonoma e compatta ma, in realtà, al proprio interno nasconde molti dissidenti e altrettante crepe.

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E più che sulla fedeltà degli associati – molti dei quali, come del resto nel Pd, non del tutto convinti del «no» e ancora meno disposti ad agire per motivi politici – l’Associazione conta su quella del 90% della stampa mainstream italiana e di gruppi di ogni forma e natura. Del resto, che quella che resta da compiere per il «sì» definitivo alla riforma non sarà una passeggiata, lo hanno dimostrato i magistrati della Corte dei Conti che mercoledì 29 (guarda caso proprio il giorno prima che Montecitorio ribadisse il via libera alla riforma della Giustizia), quasi a mo’ di avvertimento, avevano risposto picche alla richiesta del Cipess del visto di legittimità indispensabile per avviare i lavori del Ponte sullo Stretto.

Magistratura e responsabilità diretta

Nessuna sorpresa, però: l’Italia è il Paese del «no» a tutto, e i giudici della Corte dei Conti, per quanto «contabili», sono pur sempre magistrati, in «guerra» con il governo. Dimenticano, però, che la magistratura italiana – anche quella contabile (a proposito, dov’erano quando Conte s’inventò bonus, superbonus e reddito di cittadinanza?) – non è mai stata un esempio di infallibilità. Anzi!

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Temono forse di perdere i propri privilegi? Di sicuro, a molti di loro non piace l’inserimento in Costituzione del principio secondo cui «i magistrati (che oggi godono di una sostanziale impunità, ndr) sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti» e «risponderanno personalmente dei propri errori per dolo o colpa grave», che oggi sono invece a carico dello Stato. Né gradiscono la «separazione delle carriere», il doppio Csm e il sorteggio per la nomina dei loro componenti. Come finirà? Ce lo diranno gli italiani in primavera. E solo allora, in caso di vittoria dei «sì», si potrà davvero brindare.

Impunità di stampa e immunità antifascista

E ora cambiamo – ma non troppo – argomento. Tommaso Cerno, già direttore dell’Espresso, condirettore di «Repubblica», attuale direttore de «Il Tempo» di Roma e già parlamentare Pd, nel suo editoriale dell’altro giorno ha definito come «impunità di stampa» ciò che personalmente avevo definito «immunità antifascista». Ma risultati e conseguenze non cambiano. Per la sinistra, nessuno deve toccare Caino: si chiama «pretesa di pensiero unico».

Anche se è passato un anno, forse qualche lettore ricorderà che in quell’occasione scrivevo che il «campo santo» – giornali, tv e giornalisti – ha continuato a dire della maggioranza tutto il peggio possibile, al fine di poterla accusare di fascismo e illiberalità, nella speranza di mandare gambe all’aria il governo Meloni, che di quella maggioranza era ed è, nonostante le loro fake news, espressione. Senza subirne alcuna conseguenza pratica, né sul piano personale, né politico o professionale; anzi, guadagnandone in termini di carriera, remunerazione, visibilità e intoccabilità.

Il caso Meloni e la strategia della sinistra

E così, consapevoli però che non l’avrebbe fatto (essendosi espressa in tal senso già nel dicembre 2022, e loro avevano finto di non sentire), pretendevano che la Meloni si dichiarasse antifascista. Ma lei si è ben guardata dal farlo. Il fascismo è finito oltre 80 anni fa: a che serve parlarne, per dire di non essere un fantasma? Uno spettro del quale nessuno sente alcuna nostalgia. Tranne la leader dalla cittadinanza «triforcuta» – italo-svizzera-statunitense – del Pd, Schlein, che ne ha fatto il suo unico programma politico-elettorale.

Non sarà forse per questo che, da quando (12 marzo 2023) è stata eletta segretaria nazionale del Pd, è diventata la recordwoman mondiale di sconfitte elettorali: ben 11, più 4 referendum. Ma lei dice che sotto la sua guida il Pd è cresciuto di dieci punti. La realtà, però, è che dal 20,1% di allora oggi è al 21,1% (uno preciso).

Lo sanno anche loro, ma continuano impunemente a farsi scudo della verità, nascondendosi dietro questa sorta di «immunità antifascista» che li rende praticamente intoccabili. E non solo i media, ma anche la sinistra e coloro che diffondono rancore e odio. Per fortuna, su questa strada gli italiani non li seguono.

Setaro

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