Matilde Serao, la voce inquieta di Napoli: cronista dell’anima e dell’invisibile

Pioniera del giornalismo, possedeva uno sguardo diverso sul mondo

Matilde Serao, pioniera nel giornalismo italiano e non solo, è stata anche la mano che ci ha scritto di una Napoli più viva e misteriosa. Nata a Patrasso nel 1856, figlia di un patriota italiano in esilio e di una nobile greca, visse a Napoli sin da bambina, e proprio quella città diventò la protagonista assoluta della sua opera.

Chi era Matilde Serao

Cresciuta in condizioni economiche difficili, imparò a leggere a otto anni per necessità, durante una malattia della madre. Ma fu subito chiaro che possedeva uno sguardo diverso sul mondo. Studiò per diventare maestra, lavorò alle poste e poi ai telegrafi,anche se era la scrittura la sua vocazione. Cominciò pubblicando piccoli racconti e cronache sui giornali locali, attirando l’attenzione del mondo intellettuale.

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Trasferitasi a Roma, Matilde Serao fu la prima donna italiana ad essere assunta come redattrice stabile di un quotidiano «Capitan Fracassa». Insieme al marito Edoardo Scarfoglio fondò «Il Corriere di Roma» e poi «Il Corriere di Napoli», prima di lanciare, nel 1892, il leggendario «Il Mattino», ancora oggi tra i principali quotidiani del Sud. Dopo la rottura con Scarfoglio, creò e diresse il «Giorno» nel 1904.

Matilde Serao, la penna come strumento di denuncia e compassione

Piazzetta Matilde Serao a Napoli
Piazzetta Matilde Serao a Napoli

Nel suo giornalismo, Matilde Serao portò lo sguardo sociale e umano che caratterizzava la sua narrativa: raccontava la povertà, la condizione femminile, la lotta per la sopravvivenza, con uno stile diretto ma denso di pathos. Usava la penna come strumento di denuncia e compassione, lasciando spazio a chi normalmente non ne aveva.

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Il suo matrimonio con Scarfoglio, brillante ma infedele, si spezzò dopo il tradimento dell’uomo e la tragica morte della sua amante, la cantante Gabrielle Bessard. Matilde, però, non si piegò. Accolse la figlia illegittima del marito come se fosse sua e proseguì la sua carriera con rinnovata determinazione. Si legò poi sentimentalmente al giornalista Giuseppe Natale, con cui condivise la direzione del Giorno.

Da sempre appassionata di scrittura scrisse diverse opere e se nei romanzi come «La conquista di Roma» e «Il ventre di Napoli» mostrò la sua capacità di scandagliare la vita politica e sociale del tempo, è con «Leggende napoletane» che si svela il suo lato più affascinato dalla cultura popolare.

Storie, miti e superstizioni

In quest’opera, raccoglie e rielabora storie, miti e superstizioni tramandate oralmente nei vicoli e nei quartieri napoletani. Ha raccontato del cosidetto «Munaciello» o della «Bella ‘Mbriana». Le vicende di fantasmi, santi, teschi parlanti e miracoli si intrecciano con la realtà storica, restituendo un’immagine di Napoli come città sospesa tra il sacro e il profano, la disperazione e la meraviglia. Non si limitava a trascrivere: reinventava, narrava e dava voce. Le sue leggende sono ritratti di un popolo che sogna anche nella miseria, che spera nel soprannaturale quando la realtà è troppo dura da sopportare.

Questa raccolta ha avuto una fortuna postuma notevole: amata dagli studiosi di folklore, è oggi anche letta come una straordinaria prova di letteratura urbana, capace di parlare a lettori moderni con immagini dense e indimenticabili.

Candidata al Premio Nobel per la Letteratura nel 1926, come prima donna italiana a ricevere tale onore, Matilde Serao morì l’anno successivo, nel 1927, a Napoli. La sua eredità è quella di una donna che ha saputo occupare uno spazio pubblico in un’Italia ancora fortemente patriarcale, rompendo barriere culturali e sociali.

Matilde Serao ha dato alla parola scritta il compito di documentare, ma anche di emozionare, coinvolgere, mobilitare. Ha reso la stampa uno strumento di emancipazione, ha trasformato le storie dimenticate in letteratura, e ha offerto alle donne un esempio concreto di indipendenza e talento. Nel giornalismo come nella narrativa, nelle cronache, nelle leggende, ha dimostrato che la verità ha infinite forme. E ha scelto, con coraggio, di raccontarle tutte.

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