L’omicidio che ruppe il tabù: senza volto i killer di Assunta Sarno

Nell’agguato furono uccisi la compagna dell’ex boss Giuseppe Missi e Alfonso Galeota

Tra i tanti omicidi commessi da sicari senza volto ce n’è uno che spicca non solo per ferocia ma anche perché violò uno dei pochi tabù della camorra napoletana: uccidere le donne. Si tratta dell’esecuzione di Assunta Sarno, la moglie dell’ex boss, ora collaboratore di giustizia, Giuseppe Misso, Missi per l’anagrafe.

Esecuzione, non un semplice omicidio, perché, come indicarono, all’epoca, gli investigatori, ‘donna’ Assunta fu inseguita da uno dei suoi sicari mentre cercava di fuggire e uccisa con un colpo di pistola sparato a bruciapelo. Un omicidio che destò non soltanto scalpore nell’opinione pubblica ma che innescò anche la violentissima reazione dei suoi familiari, in particolar modo del marito che, come riferito da diversi collaboratori di giustizia, non avrebbe avuto pace fino a quando non avesse ucciso tutti i Licciardi. Sarebbe stato un commando partito dalla Masseria Cardone, infatti, a compiere l’agguato nel quale fu ucciso anche un fedelissimo di Missi, Alfonso Galeota.

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La ricostruzione dell’agguato

È il tardo pomeriggio del 14 marzo 1992. Assunta Sarno è alla guida di una Ford Fiesta con la quale sta tornando da Firenze dove si è tenuto il processo a carico del marito per la strage del rapido ‘904’. Una ‘storiaccia’ di cui Misso e i suoi uomini, dopo anni di dibattimenti, risulteranno estranei ma che porterà, comunque, gravissime conseguenze.

Con la Sarno viaggiano anche, oltre a Galeota, Giulio Pirozzi, altro affiliato alla cosca della Sanità e la moglie di quest’ultimo. Sono partiti intorno a mezzogiorno e contano di arrivare a Napoli prima dell’ora di cena. Non ci arriveranno mai. Nel tratto compreso tra Afragola e Acerra, la Ford Fiesta è affiancata da altre due vetture, una Lancia ‘Prisma’ e una Croma. La Sarno non ha il tempo di capire cosa sta accadendo che da entrambi i veicoli spuntano le canne di fucili caricati a pallettoni.

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La raffica raggiunge la Fiesta mandando in frantumi parabrezza e finestrini e ferendo i suoi occupanti. Assunta Sarno, forse perché tamponata dai killer, sbanda e finisce fuori strada dopo aver sfondato il guardrail. La vettura finisce in un fosso e Pirozzi e la moglie sono sbalzati via dall’abitacolo, una circostanza che salverà la vita a entrambi. I killer, almeno quattro secondo una prima ricostruzione ma potrebbero essere di più, si accaniscono sulla moglie di Peppe ‘o nasone’ e su Galeota. Ai due non lasciano scampo.

L’azione, però, non è passata inosservata ai tanti automobilisti e a due pattuglie della stradale che accorrono a sirene spiegate. Per il ‘commando’ non c’è più tempo. I sicari risalgono sulle loro auto e fuggono in direzione di Napoli. Solo ore dopo, una delle vetture usate per la strage, verrà trovata nei pressi dell’aeroporto di Capodichino dove qualcuna l’ha abbandonata ma non prima di averla data alle fiamme. Un ritrovamento che, ad ogni modo, non fa altro che alimentare i sospetti che i killer siano partiti da Secondigliano e, in particolare, dalla Masseria Cardone, feudo della famiglia Licciardi.

Lo scenario criminale

Sono anni bui quelli. I clan dell’area nord e i loro alleati, infatti, hanno cominciato ad avanzare sul centro città e questo ha dato inizio a uno scontro totale per il controllo delle attività illecite. A opporsi ai Licciardi ci sono, però, anche i Misso, all’epoca considerati come una delle formazioni criminali più agguerrite. Lo scontro è subito feroce e, il primo a farne le spese, è il braccio destro del padrino della Sanità, Vito Lo Monaco, siciliano ma da anni affiliato alla cosca napoletana.

I sicari dell’Alleanza di Secondigliano lo avevano ammazzato qualche giorno prima mentre percorreva la tangenziale. Missi, dinanzi alla ‘mattanza’ messa in atto dagli avversari può fare ben poco. È in galera e ci dovrà rimanere ancora per qualche anno. Il suo clan, tuttavia, forte anche dei legami stretti con i Mazzarella e i Sarno rintuzza l’avanzata dei secondiglianesi che, gradualmente, sono costretti a rinunciare al loro progetto di conquista.

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