La Cassazione stoppa proroga del 41 bis al figlio di Totò Riina, l’Antimafia apre indagine

Giovanni Riina fu condannato all’ergastolo: sottoposto alla misura dal 2002

«Apriremo un filone» di indagine «che parta dal caso Riina e verifichi la giusta attuazione del 41 bis». È l’annuncio del presidente della commissione parlamentare antimafia, Chiara Colosimo, dopo che la Cassazione ha annullato con rinvio al tribunale della Sorveglianza di Roma l’atto di proroga del carcere duro per Giovanni Riina, figlio dell’ex capo di Cosa Nostra Totò, condannato all’ergastolo. Il figlio del superboss è stato arrestato nel 1996 e dal 2002 è sottoposto a quanto previsto dal regime del 41 bis.

«Un cedimento su un nome così importante – aggiunge Colosimo – che ancora incute timore e anche una negativa fascinazione, come dimostrano alcuni post, è molto pericolosa e la commissione antimafia deve fare la sua parte». Colosimo non esclude la possibilità di effettuare una serie di audizioni e «una relazione che vada al Parlamento per fare luce sulla situazione attuale del 41 bis».

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La decisione della Cassazione

La Cassazione ha accolto il ricorso presentato da Riina jr contro la proroga del 41 bis. Gli ermellini hanno ritenuto «meramente apparente» la motivazione del Tribunale di Sorveglianza di Roma che lo scorso giugno aveva giudicato corretto il provvedimento. In quell’atto i giudici affermano che «pur in assenza di riconoscimento processuale della qualità di capo o promotore della associazione mafiosa è stata rappresentata una posizione di ‘sovraordinazione’ del Riina rispetto ad altri sodali». Per i giudici capitolini inoltre «l’associazione mafiosa è ancora attiva nel territorio di Corleone e mancano segnali di effettivo ravvedimento, in presenza di condotta carceraria non sempre regolare». Da ciò la considerazione della «perdurante capacità del Riina di relazionarsi con soggetti esterni al circuito detentivo».

Ma per la Cassazione i giudici capitolini nel provvedimento non avrebbero seguito «un percorso argomentativo effettivo ed idoneo a dare conto della perdurante necessità di sottoporre il ricorrente al regime del 41 bis». Dopo la decisione della Cassazione, il tribunale è ora chiamato ad esaminare nuovamente tutta la documentazione che riguarda il figlio del boss.

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Su quanto deciso dagli ermellini è intervenuto anche il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro. «Pur nel rispetto dovuto alla Suprema Corte, insisteremo nella richiesta di applicazione del regime del carcere duro a Giovanni Riina – ha annunciato -. La conclamata e attuale pericolosità mafiosa di Riina jr non consente di abbassare la guardia. Per fronteggiare i non condivisi ragionamenti della Suprema Corte, rappresenteremo tutti gli elementi raccolti dagli investigatori circa il ruolo ricoperto da Riina nell’associazione e la attuale pericolosità personale e della consorteria».

Il permesso al boss ergastolano

Proprio oggi, intanto, l’Ufficio di sorveglianza di Padova ha concesso nove giorni di permesso al boss ergastolano Ignazio Bonaccorsi, 67 anni, capo del clan dei ‘Carateddi’ di Catania, uomo di fiducia dello storico capomafia Turi Cappello con cui fu arrestato a Napoli nel 1992. Nel provvedimento si sottolinea che il beneficio ha una «fruizione eccezionale» finalizzata «esclusivamente alla visita della madre malata».

Il boss dovrà muoversi «in autonomia», restare a Catania in regime di detenzione domiciliare e rientrare nel carcere di Padova nel gennaio del 2025. Nella decisione hanno pesato il fatto che Bonaccorsi è stato «ammesso ai permessi premio» con un’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Venezia del 19 ottobre del 2022, che la sua «condotta si mantiene regolare» e che «ha già usufruito di permessi per visitare la madre malata in Sicilia dal 2016 e che l’ultima volta è stata nell’estate del 2023».

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