Gelsomina Verde fu uccisa e data alle fiamme in un’auto dal gruppo di fuoco del clan Di Lauro in lotta con gli scissionisti
Era una fredda sera di novembre, il 22 del 2004, quando il silenzio del viale Privato Agrelli, a Secondigliano, fu rotto da un macabro ritrovamento: una Fiat 600 carbonizzata, all’interno della quale giaceva il corpo di una giovane donna completamente bruciato. Grazie alla targa, le forze dell’ordine risalirono al proprietario dell’auto, il padre di Gelsomina Verde, operaia ventunenne. Il corpo nella vettura era quello della ragazza.
L’omicidio di Gelsomina, detta Mina, rappresentò uno degli episodi più cruenti della prima faida di Scampia, un conflitto senza esclusione di colpi tra il clan Di Lauro e il gruppo degli scissionisti. Il 6 dicembre successivo, lo Stato intervenne duramente, smantellando le due organizzazioni criminali. Ma la morte della giovane rimase impressa nella memoria collettiva, scossa dalla brutalità della vicenda e dalla totale innocenza della vittima.
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Secondo le ricostruzioni, Gelsomina Verde fu rapita, torturata a lungo, uccisa con tre colpi di pistola e il suo corpo dato alle fiamme per cancellare le tracce delle sevizie subite. Un’esecuzione crudele, consumata come vendetta trasversale per la sua passata relazione sentimentale con Gennaro Notturno, figura di spicco degli scissionisti, con cui aveva interrotto ogni rapporto prima della sua morte.
I killer di Gelsomina Verde
I responsabili non rimasero impuniti. Pietro Esposito, il primo pentito di quella faida, scosso dall’atroce destino della giovane, rivelò dettagli decisivi alle autorità. Esposito stesso, che aveva condotto Mina all’incontro con i suoi aguzzini, fu condannato, insieme a Ugo De Lucia, ritenuto uno degli ideatori dell’omicidio e presente all’esecuzione. Per lui la condanna è stata all’ergastolo. Nel maggio del 2023, due ulteriori arresti hanno portato alla cattura di Luigi De Lucia e Pasquale Rinaldi, noto come ‘O vichingo, ritenuti gli esecutori materiali del delitto.
Gelsomina Verde, un simbolo dell’innocenza calpestata
Gelsomina Verde, che lavorava in una pelletteria e si dedicava al volontariato nel tempo libero, è divenuta un simbolo dell’innocenza calpestata dalla violenza camorristica. Come lei, altre vittime innocenti segnarono le coscienze: Annalisa Durante, 14 anni, uccisa a Forcella nello stesso anno, Dario Scherillo, 26 anni, assassinato per errore il 6 dicembre 2004; e Attilio Romanò, 29 anni, scambiato per il nipote di un boss scissionista il 24 gennaio 2005.
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La prima faida di Scampia, combattuta tra il 2004 e il 2005, causò oltre 60 morti, segnando uno dei periodi più sanguinosi nella storia della criminalità organizzata napoletana, con una ferocia paragonabile solo alla guerra degli anni Ottanta tra l’NCO di Raffaele Cutolo e la Nuova Famiglia. Eppure, anche dopo quella guerra, altre faide insanguinarono Scampia, mietendo ulteriori vite innocenti, come quella di Lino Romano. A distanza di 20 anni, il nome di Gelsomina Verde continua a rappresentare la richiesta di giustizia, memoria e lotta contro la brutalità di una camorra che non ha mai esitato a sacrificare gli innocenti. E che continua a farlo.