La carriera nella mala del boss Piccirillo: dal Lotto clandestino ai tavoli dell’Alleanza di Secondigliano

di Enzo Amato

Negli anni Novanta era nel «consiglio» organizzato da Ciro Mariano. L’amicizia con Gennaro Licciardi. Per battezzare il figlio scelse un ras dei Contini: era latitante e fu padrino in contumacia

L’arresto di Rosario Piccirillo, destinatario di ordinanza cautelare per tentata estorsione, è solo l’ultimo capitolo di una carriera criminale che ha avuto inizio nei primi anni ’80. Insieme ai fratelli e al padre, da semplice esponente della malavita locale, entrò a far parte del giro del Lotto clandestino, settore che, impiegando capitali notevoli, costituiva una delle fonti di lucro più redditizie per le organizzazioni malavitose. La prima denuncia a suo carico risale al 1984 ed è subito seguita da una seconda datata 26 agosto 1985. Finì in manette il 20 ottobre 1986.

Altro campo in cui la famiglia Piccirillo si è fatta largo, è quello del contrabbando di sigarette. A seguito delle lotte intestine tra clan (tra la fine del 1989 e l’inizio del 1990) che portarono a una lunga serie di omicidi, il comando delle attività della zona di Mergellina fu assunto dal boss Ciro Mariano, capo dell’omonimo clan dei Quartieri Spagnoli, così costituito.

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Al vertice dell’organizzazione fu posto una sorta di «consiglio» costituito dai principali associati e cioè Mario Dello Russo, Ciro Piccirillo, detto «Barabba», Rosario Piccirillo, detto «‘O Biond», Orlando Frizziero ed Gennaro Innocenti. Proprio quel contesto emerse con prepotenza la figura di Rosario Piccirillo che, nell’ambito delle attività malavitose, aveva il ruolo di organizzare l’importazione di stupefacenti provenienti dall’estero, servendosi, per il trasporto, di un motoscafo chiamato «Topo Gigio». Nel corso di un’operazione, la Guardia di finanza, il 20 giugno del ‘90, procedette al sequestro di 2.290 chili di hashish.

I rapporti con la mala del Vomero e di Posillipo

Dopo la morte di Mario Dello Russo, le attività illecite della zona della Torretta e del lungomare, passarono prima, indirettamente tramite il nipote Orlando Frizziero, con la supervisione di altri due e poi, in prima persona, sotto il controllo di Giovanni Alfano che, perdente nella guerra per il controllo delle attività illecite nei quartieri Vomero e Arenella condotta contro i suoi ex luogotenenti Antonio Caiazzo e Luigi Cimmino, si rifugiò nella zona della Torretta con i fedelissimi del suo gruppo criminale.

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In quella fase Rosario Piccirillo, che già aveva diversificato i suoi interessi iniziando a prestare i soldi con interesse usurario, si distaccò dal territorio della Torretta ed iniziò a tessere e rinsaldare importanti amicizie con alcuni potenti di Secondigliano e Scampia, in particolare con Gennaro Licciardi detto «’A scigna», boss dell’Alleanza di Secondigliano che, in quel periodo, gestiva e controllava le attività illecite di tutta la città.

L’omicidio di Silvia Ruotolo

L’arresto di numerosi appartenenti ai vertici del clan Alfano, come Gennaro Innocenti, e di Giovanni Alfano, Rosario Privato e altri, avvenuti nel luglio del 1997 dopo la tragedia di Salita Arenella (quando, in uno scontro a fuoco tra appartenenti al clan Alfano e Antonio Caiazzo e altri suoi affiliati, rimase uccisa da un colpo vagante sotto gli occhi dei figli Silvia Ruotolo), nonché la morte per overdose di Orlando Frizziero, permisero a Rosario Piccirillo di tornare a controllare le attività illecite.

Il suo gruppo operava in stretto contatto con i referenti del clan di Antonio Calone della zona di Posillipo, e dell’Alleanza di Secondigliano, nei confronti della quale i due gruppi risultavano in posizione di subordinazione, tanto da essere obbligati a versare una parte dei loro illeciti guadagni. Da quel momento Rosario Piccirillo iniziò ad alternare periodi di detenzione in carcere a periodi in cui rimase detenuto presso la propria abitazione in regime di arresti domiciliari. Misura, quest’ultima, che però non riuscì a limitare la sua pericolosità sociale e la sua tendenza a delinquere tanto che, per le sue continue violazioni alle prescrizioni, la misura gli fu e tornò in cella.

Era il 27 gennaio 2001 quando, per rafforzare i legami già esistenti con L’Alleanza di Secondigliano, Piccirillo fece battezzare uno dei suoi figli scegliendo come «padrino» Gennaro Cirelli, elemento di spicco del clan Contini, legato da stretti vincoli di parentela con Giovanni Licciardi, figlio di Gennaro «’A scigna». A sottolineare il carisma criminale di Piccirillo va evidenziato che Cirelli è stato dichiarato padrino del nascituro «in contumacia», perché all’epoca era latitante.

La guerra con il clan Frizziero

Gli anni 2001 e 2002 furono segnati da una serie di arresti che indebolirono il gruppo criminale di Piccirillo, dando la possibilità al clan Frizziero, da sempre contrapposto a Rosario «‘O biond», di subentrare nel controllo delle attività illecite della zona. Nell’ambito di questa lotta al potere, il 3 aprile del 2004 un killer a volto scoperto, in piazza Sannazaro, esplose numerosi colpi di pistola contro l’allora capo clan Alvino Frizziero, figlio di Orlando che, benché colpito al torace da quattro proiettili, riuscì a salvarsi.

La rivolta popolare contro la darsena organizzata dal boss

Indebolito il clan Frizziero, anche in virtù della mano della Procura, Rosario Piccirillo cercò di riallacciare le fila della sua organizzazione criminale capeggiando, per mezzo dei suoi fedelissimi, una rivolta popolare destinata ad impedire la realizzazione di una darsena per l’ormeggio di imbarcazioni da diporto che avrebbe irrimediabilmente danneggiato gli interessi degli ormeggiatori abusivi della zona che, ogni estate, installavano pontili mobili nella zona di mare antistante via Caracciolo versando poi parte dei guadagni nelle casse dei clan che controllano la zona rivierasca e di piazza Torretta.

Rosario Piccirillo si occupò di intimidire i soci della società consortile titolare della concessione. L’8 luglio del 2005, nei pressi di piazza Vittoria, affrontò un socio della società consortile e, dopo averlo gravemente minacciato, lo picchiò selvaggiamente con calci e pugni. Per quell’azione fu sottoposto a fermo per tentata estorsione e lesioni personali, aggravate dal metodo mafioso.

Le condanne e il carcere

Nel successivo processo Piccirillo fu condannato in primo grado a 10 anni di reclusione. Successivamente, l’11 febbraio del 2009, la Corte di Appello di Napoli, condannò Piccirillo a 6 anni, escludendo l’aggravante mafiosa. Il verdetto fu poi confermato in Cassazione. Scarcerato per fine pena il 28 maggio 2009, Piccirillo fu sottoposto all’obbligo di firma. A seguito dell’emissione dell’ordinanza emessa il 23 aprile 2013 dal Magistrato di Sorveglianza di Napoli, fu dichiarato delinquente abituale e sottoposto alla libertà vigilata.

Nel 2016 fu destinatario di una nuova ordinanza in carcere con alcuni esponenti del clan Contini. Piccirillo fu condannato definitivamente a 4 anni. Per anni Rosario Piccirillo è stato al vertice di una organizzazione criminale da lui promossa e diretta che opera nella zona della Torretta e di Mergellina.

La ribalta mediatica di Antonio

Quanto al figlio Antonio, nel 2019, a seguito di un grave fatto di camorra che determinò il ferimento della piccola Noemi in piazza Nazionale a Napoli, acquisì notorietà mediatica partecipando a manifestazioni anticamorra, rilasciando interviste attraverso le quali dichiarava esplicitamente di dissociarsi dagli ambienti della criminalità organizzata, rinnegando la figura del padre camorrista. Si avvicinò anche a Pietro loia, garante dei detenuti presso il Comune di Napoli, per promuovere attività sociali dirette al miglioramento della condizione carceraria e all’inserimento dei detenuti nella società civile. Si candidò persino al consiglio comunale di Napoli nelle elezioni amministrative del 2021.

Il falso dissociato dalla camorra

Da quanto appurato dalle indagini, è emerso invece che non solo non si è mai dissociato realmente dagli ambienti criminali, ma sarebbe stato responsabile di una serie di pressioni estorsive spendendo esplicitamente il nome del padre, conosciuto nell’area di Mergellina quale capoclan della Torretta, avvalendosi, dunque, consapevolmente, di una metodologia mafiosa, tesa ad intimidire e ad assoggettare le vittime.

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