Dossieraggi, Giorgia Meloni: «Uno schifo che deve finire»

di Antonella Di Martino

Il governo sarà «implacabile» con i «funzionari infedeli»

I dossieraggi sono «uno schifo che deve finire». Ma, ancora peggio dell’intrusione nelle banche dati, sono i «funzionari infedeli» che le dovrebbero proteggere. Giorgia Meloni, di fronte a quanto sta emergendo con le inchieste di Milano «e ora forse anche di Roma», assicura che il governo sarà «implacabile» non solo con chi si presta alla compravendita di dati che era iniziata «da tempo», ma anche con chi ha la responsabilità del «controllo».

Contromisure già erano state prese, ricorda la premier da Bruno Vespa, prima a Cinque minuti e poi a Porta a Porta, con un primo decreto legge cui seguiranno «altre iniziative», sulle quali è al lavoro «un tavolo tecnico ad hoc». Si continuano a vedere, fa l’elenco la presidente del Consiglio, «casi di ogni genere», dal «finanziere distaccato alla Direzione Nazionale Antimafia che faceva decine di migliaia di accessi, che dossierava tutti i politici di centrodestra che si pensava potessero andare al governo», cioè Pasquale Striano, «poi c’è stato il caso del dipendente della banca che entrava nei conti correnti, tutti quelli della mia famiglia ovviamente».

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Ora queste nuove inchieste mettono in luce la situazione «inaccettabile», non solo del «funzionario che anziché proteggere viola le banche dati», ma altrettanto del «superiore non si accorge che vengono fatte centinaia di migliaia di accessi abusivi».

L’immigrazione illegale

Mettere un freno è una «priorità» per la premier, tanto quanto combattere l’immigrazione illegale nonostante le argomentazioni «da volantino propagandistico» del Tribunale di Bologna, che ha rinviato il decreto legge sui Paesi sicuri alla Corte di Giustizia europea per chiedere quale sia il parametro su cui individuarli.

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«L’argomento della Germania nazista è efficace sul piano della propaganda, sul piano giuridico è più debole», dice la premier, che cita anche il «surreale pronunciamento del Consiglio d’Europa» sul razzismo presente nelle forze di polizia italiane. Di questo passo, il suo ragionamento provocatorio, «anche l’Italia potrebbe non essere un Paese sicuro» e «la faccio io tra un po’ l’istanza perché anche in Italia abbiamo qualche problema in qualche territorio circoscritto». Si tratta, «per alcuni» – insiste Meloni – di tentativi di «impedire di fermare l’immigrazione irregolare».

Ma «sono convinta che la ragione per cui si sta facendo qualsiasi cosa possibile per bloccare il protocollo con l’Albania, è che tutti capiscono che è la chiave di volta per bloccare le migrazioni irregolari», tanto che «è la prima volta – rivela – che ricevo minacce di morte dagli scafisti».

Il successo in Liguria e la manovra

Galvanizzata dal successo in Liguria («Siamo 11 a 1 per il centrodestra tra Regionali e elezioni nelle Province autonome»), e pronta ad affrontare referendum «su tutto», la premier in oltre mezz’ora nel salotto tv torna a difendere la manovra contro cui i sindacati hanno – ironizza – un «piccolissimo pregiudizio», e respinge le accuse di avere imposto «tagli alla sanità»: le risorse aumentano «di 22 miliardi» rispetto al 2019, rivendica la premier.

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Un’accusa la lancia invece lei a John Elkann, per aver disertato l’audizione in commissione: «Questa mancanza di rispetto verso il Parlamento me la sarei evitata». Un passaggio, di nuovo, anche su Raffaele Fitto, in attesa del test delle audizioni al Parlamento europeo per la conferma del suo incarico come nuovo Commissario e vicepresidente: «Il Pd – dice la premier – dovrebbe farsi sentire di più» perché «io escludo che la posizione» dei Dem sia quella dei socialisti europei che si dicono «chiaramente contrari al fatto che l’Italia abbia una vicepresidenza».

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