Schlein sostiene che «senza questo Sud, non c’è riscatto». Certo, ma è l’Italia che ne ha bisogno e non viceversa
Pensava di fare un gol alla Lukaku, ma ne è venuta fuori un’autorete alla Niccolai. Rendendo così chiaro a tutti qual è il motivo reale per cui – 23 anni dopo aver introdotto in Costituzione l’autonomia regionale – oggi che al governo c’è il centrodestra, la sinistra ha cambiato idea e si batte per impedirne l’attuazione. Schlein, qualche giorno addietro ha sostenuto, che «senza questo Sud non c’è riscatto».
Già! Peccato, però, che con questa Italia, soprattutto se malauguratamente, gli italiani dovessero rispondere «sì» al Referendum abrogativo dell’Autonomia e poi, impazzire alle prossime politiche consentendo all’attuale opposizione di rimettere piede a Palazzo Chigi, a essere penalizzato sarebbe, ancora una volta, il Sud.
Ma davvero a sinistra sono convinti che l’autonomia spacchi il Paese? Assolutamente, no! La verità è che lorsinistri temono, che la possibile vittoria del «no» al referendum, gli faccia perdere anche per il futuro quel «chiupp’ e l’uva doce», chiamato Mezzogiorno. E’ chiaro, infatti, che da quel momento in poi – anche se dovessero rivincere le elezioni – non gli sarà più possibile utilizzarlo come un bancomat per foraggiare il Nord.
L’unità d’Italia a senso unico
Così come è successo sin da quel tristissimo (per le conseguenze che ne sono derivate all’Italia del tacco) 26 ottobre 1860 in cui Garibaldi consegnò a Vittorio Emanuele II i territori conquistati e le ricchezze dei Borbone, che da quel momento divennero proprietà dei Savoia e servirono soltanto a pagare i debiti di guerra da loro accumulati per realizzare la falsa unità d’Italia, ma anche altri conflitti.
Operazione della quale, però, poi si pentì, essendosi, reso conto che il suo intervento sotto il Garigliano era servito soltanto a salvare dal fallimento il regno di Sardegna. Tant’è che, nel settembre del 1868 disgustato per la condotta del Governo savoiardo che nulla aveva fatto e faceva per le popolazioni del Sud, si dimise da Deputato del Parlamento di Sardegna. E con una lettera alla nobildonna Adelaide Cairoli chiese scusa a napoletani e italiani del Sud per «gli incommensurabili oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali» dall’Unità in poi.
A cominciare da quello rappresentato dalla quantità di risorse che i singoli Stati associandosi dovettero versare per la costituzione dell’erario nazionale. Ben 443milioni di lire oro ovvero il 66% dei complessivi 666milioni, infatti, furono a carico del Regno di Sicilia e solo 223 (34%) di tutti gli altri Stati messi assieme; le terre demaniali ed ecclesiastiche nel Sud fruttarono 600milioni; cui vanno aggiunti 11 milioni di ducati che «Franceschiello» al momento di lasciare Napoli, «dimenticò» nelle banche partenopee.
E quasi niente di tutto questo venne utilizzato nel e per il Mezzogiorno, per il quale nulla cambiò se non in peggio, mentre le risorse dei Borbone, continuarono a essere utilizzate per far crescere l’Italia oltre il Garigliano. Tant’è che fra il 1871 e il 1951 il PIL pro capite del Sud perse quasi 30 punti, crollando dal 90 al 61%.
La Cassa del Mezzogiorno
Qualche risultato il Mezzogiorno cominciò a intravvederlo dall’agosto del 1950. Quando – grazie a un’idea dell’economista Pasquale Saraceno nato a Morbegno in Lombardia, ma meridionalista «per impegno» e voluta dal Governo De Gasperi – fu fondata la Cassa del Mezzogiorno che rappresentò fino al 1984 lo strumento dell’intervento straordinario nel Sud.
Furono, però, 34 anni controversi e difficili da valutare, di cui non si è ancora riusciti a capire se siano stati più significativi i risultati conseguiti, le opere realizzate e «il miracolo» annunciato, oppure i fallimenti, gli investimenti a pioggia e «lo scandalo» che ne è derivato. Sicché fu soppressa, il 6 agosto 1984, e sostituita il 1 marzo 1986 dall’Agensud, a sua volta, cancellata nel 1992 dal governo Amato. Dopo un investimento complessivo di 279.763 miliardi di lire (6.662 miliardi annui) pari a 140 miliardi di euro (3,332 miliardi annui). Obiettivamente pochi. Per consentire al Meridione di recuperare il terreno perduto nei 131 anni di presunta unità.
E chi sono stati i protagonisti di questa situazione? In pratica, i predecessori, di quelli che oggi si oppongono all’autonomia. Senza, per altro, rendersi conto che – alla luce dei dati economici del Mezzogiorno costantemente in crescita rispetto al pre-Covid – sostenendo che «senza questo Sud non c’è riscatto» confermano che è l’Italia ad aver bisogno del Sud, non viceversa.
La crescita del Paese
E del resto lo sta già facendo – come sottolineato ne la settimana scorsa, ma repetita iuvant per chi continua a fingere di non accorgersene – ha contribuito in maniera determinante alla crescita del Paese, in alcuni comparti: il Pil cresciuto del +3,4 rispetto al 2019, Export +68%; turismo +2,8%; portualità che serve il 47% del trasporto via mare italiano, calo del 4% del tasso disoccupazionale rispetto al 2019; e il Pnrr che con una disponibilità di 165 miliardi per gli investimenti infrastrutturali dal 2021 al 2030. Per carità. L’Italia del tacco non pensa di sottrarsi a questo compito, ma non intende continuare a esserne penalizzato. Facciamolo ma in regime di «Autonomia». Ancora meglio se «Macroregionale»