L’uomo nero del clan Mazzarella: dall’agguato subìto agli affari nella Capitale

di Enrico Biasi

Il profilo di «Giancarlo», il ‘fantasma’ che per D’Amico è stato il reggente del clan dopo l’arresto di Umberto Luongo

Che fine ha fatto «Giancarlo»? È stato nell’ombra per anni, come un fantasma. Dopo aver subìto un agguato da cui scampò miracolosamente, è tornato nell’ombra. Almeno fino all’ultimo provvedimento che ha colpito alcuni esponenti di clan napoletani in affari con i figli di vecchi esponenti della Banda della Magliana in merito al riciclaggio di capitali sporchi.

«Giancarlo» era tra gli indagati, ma nei suoi confronti non c’è stata misura cautelare, piuttosto un sequestro di beni per equivalente di 85mila euro. Di lui non si sapeva nulla, poi il suo nome iniziò a fare capolino nei provvedimenti dell’Antimafia e nei verbali dei collaboratori di giustizia, per la verità sempre parsimoniosi rispetto al personaggio. Nelle carte è emerso che «Giancarlo» è un soprannome. Qualcuno lo chiamava «l’uomo nero dei Mazzarella», ma risponde al nome di Giovanni Formisano. Quando ancora non era giunto alla ribalta delle cronache (ribalta sempre di nicchia), «radiomala» parlava di lui come di uno che «comandava», una sorta di plenipotenziario del clan, con il pelo sullo stomaco e il senso degli affari. Era domenica 15 novembre 2020, quando a «Giancarlo» fu teso un agguato.

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I killer spararono per uccidere

Accadde in pieno giorno, poco prima delle 11 del mattino, in via Ugo Foscolo a San Giorgio a Cremano. «Giancarlo» viaggiava a bordo di una Smart e un commando gli esplose contro 14 pallottole usando un’arma automatica. Nello stesso momento, poco lontano, si stava celebrando un funerale. In un istante si scatenò il panico. L’uomo obiettivo del raid finì all’Ospedale del Mare di Ponticelli in condizioni gravissime. I killer spararono per uccidere. Fu colpito al torace, all’inguine sinistro e a una mano. Incensurato sulla carta, di professione «imprenditore», nelle informative veniva indicato come il famigerato “fantasma”, l’uomo che avrebbe guidato la riscossa dei Mazzarella e dei loro alleati D’Amico contro il clan Rinaldi.

La sua identificazione era avvenuta pochi mesi prima, grazie alle incessanti attività investigative finalizzate a ricostruire gli assetti criminali dell’area orientale dopo l’omicidio di Luigi Mignano, cognato del boss Ciro Rinaldi. Uno scontro in cui il ‘fantasma’ – per gli investigatori – avrebbe avuto un ruolo. Personaggio indicato «di spessore criminale», Formisano, sarebbe riuscito a passare indenne attraverso le maglie della giustizia grazie a una personalissima strategia: l’inabissamento.

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Il sequestro da 85mila euro

Originario di San Giorgio a Cremano, non è un soggetto che ama mettersi in mostra. Anche la sua fedina penale, quasi del tutto immacolata, racconta poco di lui. Le uniche notizie ritenute attendibili dagli investigatori sono quelle raccolte ‘in strada’. Notizie secondo cui «Giancarlo» veniva indicato come un soggetto da «prendere con le molle». Non è tutto. Sarebbe stato a capo, almeno per un periodo, di una ‘paranza’ di giovanissimi che operava tra San Giovanni a Teduccio e i comuni vesuviani di San Giorgio e Portici.

Diversi giorni dopo l’agguato subìto, Formisano, che veniva dato praticamente per morto, cominciò a migliorare. Non si sa quando abbia lasciato l’ospedale ma, da quel momento, le notizie sul ‘fantasma’ sono scomparse con lui. Il nome di Formisano era spuntato in un’ordinanza successiva al suo ferimento, anche se non risultava tra gli indagati. Un provvedimento relativo a un grosso business legato ai carburanti in cui erano coinvolti diversi clan, tra cui i Mazzarella e i Moccia.

Il business del carburanti

Era l’aprile del 2021, pochi mesi dopo l’agguato. In quelle carte viene descritto come un’emanazione di Franco Mazzarella. Nell’ultimo provvedimento scaturito da un’indagine della Dia di Roma, sono state inserite le dichiarazioni di Umberto D’Amico che ha raccontato di periodiche riunioni che lo zio Salvatore D’Amico, ‘O pirata, teneva a Roma dove venivano discussi gli interessi legati alle illecite attività del clan sulla Capitale.

A queste riunioni partecipavano numerosi degli indagati nell’inchiesta della Dia e tra questi Alberto Coppola (imprenditore imparentato con Antonio Moccia, tra gli arrestati nell’ultimo blitz). I D’Amico avevano minacciato Coppola poiché erano venuti a conoscenza che era entrato “in società” con Anna Bettozzi e che non aveva condiviso i guadagni con il clan. Coppola viene indicato come legato a Salvatore D’Amico. Non solo.

I rapporti con l’imprenditore Coppola

Le indagini hanno consentito di ricostruire la volontà di Coppola di ampliare la propria rete di rapporti, realizzando una vera e propria holding criminale, strutturando una stabile alleanza con «esponenti di spicco della criminalità organizzata campana ed in particolare Giancarlo Formisano, divenuto reggente del clan D’Amico-Mazzarella dopo l’arresto di Umberto Luongo». Tutto nero su bianco. Nero come l’uomo che nell’ombra sarebbe diventato un boss. E che nell’ombra sarebbe ritornato dopo che hanno attentato alla sua vita.

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