Canfora e Scurati, due maschere dello stesso logorio

Per quanto in uno scorcio storico differente, la Meloni non ricorda il ventennio del secolo scorso

Certo è che il fascismo ha fatto la sua epoca in un contesto culturale, politico ed antropologico per nulla assomigliante a quello attuale. Difatti ed anche nelle premesse di ogni opinione esposta dai tuttologi che popolano l’ampia platea dei talk show si introduce il tutto, dichiarando che la Meloni, seppur reticente sul fascismo, non può reputarsi un rischio per la democrazia.

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La Meloni, ovviamente, in uno scorcio storico differente, non ricorda col suo profilo, politico, generazionale e culturale il ventennio del secolo scorso. Né palesa alcuna affinità con il lui mussoliniano. Non si ravvisano, infatti, in lei le pulsioni profonde, le scelte (e non scelte), le affermazioni e i comportamenti che si sono riverberati sul destino dell’Italia nel periodo fascista. Per cui il ritratto del leader volitivo per brama di potere è solo frutto di un gioco di simulazione giornalistica. E solo chi è mosso da un perenne risentimento, da un permanente istinto di difesa e offesa, può continuare ad addebitare all’attuale classe dirigente una sorta di revanscismo reazionario.

Nonostante ciò questi opinionisti, che costituiscono la schiera faziosa aggrappata a una sinistra di potere, non ancora rassegnata per la sonante sconfitta elettorale del settembre 2022, desidererebbero e/o auspicherebbero un colpo di mano se non di Stato per riportare al potere, con qualsiasi mezzo, chi ha, nel tempo, sconquassato l’Italia negli anni trascorsi.

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Gli ultimi epigoni di questo pericoloso trastullo intellettuale – che a scadenza annuale, quando ci sono al governo gli uomini del centro-destra, ripetono il solito rito del 25 aprile, fatto di presunzioni e contestazioni astratte, di pretesti per meglio arrembare e istigare le frange popolari di riferimento – sono stati quest’anno il professor Luciano Canfora e lo scrittore Antonio Scurati.

Il caso Canfora

Su Canfora si può svolgere il ragionamento giudiziario che verrà fuori dall’imbastitura processuale che, con l’accordato rinvio a giudizio, in ipotesi di compiuta diffamazione, lo ha condotto, da imputato, al cospetto del Tribunale di Bari. Qui, verosimilmente, si potrebbe trattare e riconoscere l’ipotesi di reato, laddove lo Storico è incappato nella diffamazione quando ha definito la Meloni «nazista nell’anima», con tutto ciò che di implicito la definizione potrebbe contenere, anche la narrazione dei «campi di concentramento».

Difatti le sue parole inciderebbero oggettivamente sull’integrità e sulla dignità morale, professionale e personale di un individuo, la Meloni, che per il rango istituzionale e per la personalità politica, non può assumere il ruolo di vittima di gratuite offese, senza che la sua condotta possa presagire alcun profilo e alcun rilievo di un’ipotetica presupposta responsabilità.

Antonio Scurati

Per Scurati si può dire solo che questi certamente può esprimere ciò che pensa senza però accostare arbitrariamente il fascismo ad un leader, come la Meloni, legittimamente eletto dagli elettori. Nel suo monologo e nelle sue poche righe di impianto storico, questi non può ordire arbitrari collegamenti temporali e di condotte tra l’Italia e la classe dirigente del ventennio mussoliniano, accostandolo al contesto attuale ed a chi rappresenta la contemporaneità.

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Per cui appare certo, come dice Ernesto Galli della Loggia sull’opera di Scurati, che, tra errori narrativi e storici, che bisogna approdare al quesito finale e definitivo: «Ma può tutto questo autorizzare il romanziere a contraffare, fino a caricaturizzarli, i tratti di importanti protagonisti storici realmente esistiti, senza peraltro che il lettore abbia modo di capire che quanto sta leggendo è qualcosa che poco o nulla ha a che fare con la realtà? Perché questo è il punto! Capisco ad esempio, anche se ne ignoro i motivi, che Benedetto Croce (sempre lui!) stia particolarmente sulle scatole a Scurati. Ma dipingerlo come «saccente», come uno che posava a «uomo di mondo che ne ha viste di ogni colore» o come un «maestro di cinismo eterno», mi pare un tradimento odioso della verità che neppure a un romanziere dovrebbe essere permesso. Se no al prossimo romanzo storico potremmo tranquillamente aspettarci, in nome dello specifico letterario, che so, uno Starace protettore delle arti o uno Stalin pacifista. Almeno questo non sembrerebbe anche a lei un po’ troppo, caro Scurati?»

Ebbene in tutta questa disordinata sciatteria si rivelano tutti gli elementi di una chiassosa commedia che rende trito il rito del 25 aprile, in cui, con ogni pretesto, si colgono personaggi, occasioni e strumentalità, ben calibrate ed orientate dai media che dettano l’agenda di una discussione pubblica, conducendola verso latitudini, talmente fuori orbita, che appaiono del tutto estranee per la portata e la percezione dell’opinione pubblica responsabile e cosciente. Sicché questo architettato clima, a sequenza annuale, serve solo ad istigare i soliti facinorosi ed idioti di piazza che colpiscono obiettivi sacri, come la Brigata ebraica.

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