Giorgia Meloni: «Von der Leyen? Vogliamo un’Unione Europea diversa»

La premier stoppa Macron: non siamo in guerra

L’Europa non è in guerra e sull’Ucraina deve essere, al tempo stesso, determinata e unita. Alla fine di un Consiglio europeo in larga parte incentrato sui due grandi conflitti che sfiorano il Vecchio continente, Giorgia Meloni frena i venti di guerra che sembravano già soffiare a Bruxelles e in un faccia a faccia con Emmanuel Macron segnato dalla convergenza su diversi dossier ribadisce l’inopportunità di fughe in avanti sul fronte russo-ucraino.

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Un fronte sul quale la presidente del Consiglio prende nettamente le distanze da Viktor Orban, unico nell’Ue a congratularsi con Vladimir Putin dopo le elezioni presidenziali: «Non condivido quella lettera e quegli auguri».

Il capo del governo lascia Bruxelles dicendosi pienamente soddisfatta delle conclusioni del vertice dei 27. Su agricoltura e sulla migrazione, è la linea di Palazzo Chigi, c’è un pieno riconoscimento dell’approccio italiano. E nel testo finale del Consiglio europeo c’è un chiaro endorsement al partenariato tra Ue e Egitto, che ha visto, come è accaduto con la Tunisia, Roma in prima linea. Una luce cupa, tuttavia, ha caratterizzato il penultimo summit Ue prima della fine della legislatura: quella del rischio di un’escalation nella crisi con la Russia.

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Charles Michel, Ursula von der Leyen, lo stesso Macron hanno usato parole durissime nei confronti del Cremlino. La notte che ha separato le due sessioni del vertice è stata segnata da un fitto bombardamento su Zaporizhzhia. Negli ultimi giorni più di un governo – l’ultimo dei quali quello svedese – è sembrato seguire l’Eliseo sulla possibilità di inviare truppe in Ucraina. Nelle conclusioni del vertice, inoltre, un intero punto è stato dedicato alla preparazione civile e militare dell’Ue alle crisi.

Il clima di guerra

Per Meloni, tuttavia, il capitolo fa riferimento alla Protezione civile e per questo è stato spostato dal paragrafo dedicato alla difesa europea. «Io non ho visto un clima di guerra al summit, ho visto un clima simile ai precedenti vertici», ha tagliato corto la premier.

A Macron ha ribadito tuttavia «il valore fondamentale dell’unità e della determinazione dell’Ue, in coordinamento con i partner G7, nel sostegno alla resistenza ucraina» e per raggiungere «una pace giusta». Tradotto: no a fughe in avanti dal sapore bellicista. Allo stesso tempo dopo settimane di rapporti quantomeno freddi, tra i due e tornato il disgelo. Italia e Francia si preparano ad affrontare, fianco a fianco, la battaglia sul debito comune per la difesa.

«C’è un nodo risorse», l’allargamento del mandato della Bei è un buon passo ma non basta, ha sottolineato Meloni. «Non siamo fan degli eurobond», ha rimarcato il cancellerie Olaf Scholz, che guida il fronte dei frugali. «A giugno bisogna decidere», ha avvertito Macron, tra i primi a lanciare l’idea dei Defence bond.

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La candidatura di Ursula von der Leyen

Meloni e il presidente francese, sebbene i loro partiti siano quasi agli antipodi all’Eurocamera, sembrano accomunati anche da una prudenza mista a gelo nei confronti della candidatura di Ursula von der Leyen.

La premier guarda con attenzione alle mosse della candidata del Ppe e forse teme un suo riavvicinamento all’asse liberali-socialisti. «Se è una buona candidata è un tema che appassiona voi, il tema che appassiona me è per fare cosa. Se von der Leyen o chiunque altro, quale sarà l’Europa di domani? Io penso debba essere molto diversa da quella di oggi», ha sottolineato Meloni proprio mentre Macron non bocciava von der Leyen ma il principio stesso dello Spitzenkandidat.

«Ho sempre avuto dei dubbi, chi guida la Commissione deve essere super partes», ha spiegato l’inquilino dell’Eliseo riproponendo una posizione già messa sul tavolo 5 anni fa. Allora lo Spitzenkandidat era Manfred Weber e si sa come andò. Certo nel gran ballo delle nomine Meloni dovrà destreggiarsi tra gli alleati di una destra più estrema di quella che rappresenta la premier in Europa e i partiti filo Ue. E non sarà una scelta facile. Lo testimonia l’atteggiamento con Orban. Da un lato lo ha bacchettato sulla lettera a Putin, dall’altro non ha chiuso all’ingresso di Fidesz in Ecr, limitandosi ad un prudente «non è all’ordine del giorno».

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