L’isola di Raffaele Imperiale a Dubai? Si chiama «Taiwan» e vale 70 milioni di euro

Fa parte di un folto arcipelago artificiale

Come in un film, nuovo colpo di scena dell’ex narcotrafficante internazionale, e ora collaboratore di giustizia, Raffaele Imperiale: dopo i due preziosissimi quadri di Van Gogh restituiti anni fa, adesso vuole consegnare alle autorità italiane addirittura un’isola, a Dubai, il cui valore è stimato tra i 60 e i 70 milioni di euro. A rivelarlo, a Napoli, nell’aula 116 del Nuovo Palazzo di Giustizia, è stato il pm antimafia Maurizio De Marco, un triestino ma napoletano d’adozione, che in questi ultimi dieci anni, indagando sui clan di Secondigliano, ha scoperto il ruolo determinante che il narcos di Castellammare di Stabia ha avuto nel traffico mondiale della cocaina.

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Il magistrato, prima della requisitoria, ha consegnato al gup Maria Luisa Miranda una memoria contenente dei manoscritti con i quali Imperiale manifestava questa sua volontà. L’isola in questione si chiama ‘Taiwan’ ed è una di quelle che compone il folto arcipelago artificiale «New world community», realizzato davanti alla costa degli Emirati Arabi Uniti. Ciascuna isola ha il nome di uno stato e Taiwan è intestata a una società che ha confermato la riconducibilità della proprietà al broker della droga. Imperiale l’ha acquistata diversi anni fa a una dozzina di milioni di euro.

L’offerta è ora all’esame dell’ufficio inquirente del procuratore Nicola Gratteri che però è cauto, in quanto si tratta di un bene difficilmente acquisibile al patrimonio dello Stato italiano. Nel corso della requisitoria il pm antimafia De Marco ha illustrato, in maniera circostanziata, la raffinatezza che caratterizza l’organizzazione capeggiata da Imperiale, definito «uno dei massimi narcotrafficanti mondiali», uno capace di tessere rapporti personali «anche con organizzazioni paramilitari sudamericane», come i colombiani del clan del Golfo, capeggiato da Dairo Antonio Usuga, alias Otoniel, condannato lo scorso agosto a New York, a 45 anni di carcere da un tribunale federale degli Stati Uniti.

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Affiancato dal socio pentito Bruno Carbone (rimasto prigioniero della milizia Hayat Tahrir al-Sham, che ha poi deciso di consegnarlo agli 007 italiani) e da collaboratori di caratura come Daniele Ursini e Corrado Genovese, Imperiale avrebbe trasferito almeno sette tonnellate di cocaina dal Sudamerica all’Europa avvalendosi di elaborate e sofisticate strategie di mercato, tenendosi in costante contatto con i fornitori e avvalendosi di una rete logistica marittima. Le sue informazioni hanno consentito il ritrovamento e la restituzione al museo di Amsterdam di due quadri di Vincent Van Gogh («La spiaggia di Scheveningen prima di una tempesta» e «Una congregazione lascia la chiesa riformata di Nuenen»).

Sono invece merito dei suoi collaboratori il sequestro di un imponente arsenale a Giugliano in Campania, il 13 marzo scorso, e la conversione in euro di un tesoretto in Bitcoin da 1,8 milioni, poi confluito nelle casse dello Stato.

Il compendio accusatorio

L’imponente compendio accusatorio messo insieme dalla Procura di Napoli nei confronti dell’organizzazione di narcotrafficanti internazionali è costituito anche – ma non solo – dalle conversazioni criptate sulle piattaforme chat Encrochat e Sky ecc la cui utilizzabilità è ora al vaglio delle sezioni unite della Cassazione, che dovrebbe pronunciarsi nei primi mesi del 2024. «E’ pacifico che vuole sconti di pena», ha ammesso il pm De Marco riferendosi a Imperiale (per il quale ha poi chiesto 14 anni e 9 mesi di carcere).

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«Stiamo sondando la profondità della sue dichiarazioni – ha poi aggiunto – ma sulla loro genuinità non c’è alcun dubbio». Al termine della requisitoria il pm antimafia ha chiesto circa 209 anni di reclusione per i 20 imputati al processo in abbreviato iniziato lo scorso ottobre che vede alla sbarra 20 componenti dell’organizzazione capeggiata da Imperiale.

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