Ex Ilva di Taranto, il governo: «Decarbonizzazione prosegue»

di redazione

Ok all’emendamento Fitto-Urso che chiude l’infrazione Ue

Passa in commissione Politiche dell’Unione europea del Senato l’emendamento che agevola la chiusura della procedura di infrazione aperta dieci anni fa e ancora pendente sullo stabilimento ex Ilva (ora Acciaierie d’Italia) di Taranto e interviene ad ampio spettro su diversi aspetti della complicata vertenza del Siderurgico.

Si tratta di un emendamento presentato dai ministri per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, e delle Imprese, Adolfo Urso, difeso dal governo e contestato dalla minoranza, dal sindaco di Taranto Rinaldo Melucci e dai movimenti ambientalisti.

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Un emendamento, sottolinea Urso, che «è frutto di un lavoro di squadra perché questo governo è coeso, lavora insieme». Una nota di Palazzo Chigi afferma che l’emendamento «consente di proseguire nell’attività di modernizzazione e di decarbonizzazione dello stabilimento siderurgico di Taranto, a differenza di quanto strumentalmente sostenuto da qualche opposizione, in attuazione del Piano di risanamento ambientale e delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione integrata ambientale».

Il decreto del presidente del Consiglio dei ministri

Sarà un decreto del presidente del Consiglio dei ministri a definire «i criteri per attuare progetti di decarbonizzazione, con indicazione dei termini massimi di realizzazione». Ed è proprio questa una delle principali novità.

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Il piano di decarbonizzazione che prima era approvato dai ministri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico di concerto col titolare dell’Economia, adesso viene trasferito a Palazzo Chigi. E’ previsto infatti un decreto della premier Meloni di concerto con i ministri, sentito il presidente della Regione Puglia, fermo il limite di 150 milioni di euro previsto dalle vigenti disposizioni. Viene introdotto anche un limite ai poteri del sindacato.

Le ordinanze sindacali, come quella adottata dal primo cittadino di Taranto (ora al vaglio del Tar di Lecce dopo il ricorso di Acciaierie) che dispone il fermo dell’area a caldo in assenza di interventi per ridurre le emissioni di benzene, potranno essere adottate esclusivamente «in presenza di situazioni di pericolo ulteriori da quelle ordinariamente collegate allo svolgimento dell’attività produttiva in conformità all’Autorizzazione integrata ambientale».

Il fermo degli impianti

Nel testo approvato si legge ancora che «qualora la prosecuzione dell’attività sia stata autorizzata dopo l’adozione del provvedimento di sequestro», il commissario straordinario «è autorizzato a proseguire l’attività anche quando il provvedimento con cui è disposta la confisca è divenuto definitivo». Una modifica che disinnesca il rischio di fermo degli impianti nel caso in cui dovesse essere confermata nei successivi gradi di giudizio la confisca disposta dalla Corte d’Assise di Taranto con la sentenza del processo «Ambiente Svenduto».

L’emendamento dispone inoltre che gli impianti della fabbrica possano essere venduti nonostante siano sottoposti a sequestro, estende l’immunità penale ai gestori anche per le opere di decarbonizzazione ed affida la verifica dell’ambientalizzazione della fabbrica dai giudici a un comitato di cinque esperti. Il tema ambientale rimane del resto sempre all’attenzione: alcuni delegati della Rsu Uilm dello stabilimento Acciaierie d’Italia di Taranto ieri mattina hanno bloccato un varco di accesso per protestare contro il transito dei mezzi che trasportano i minerali necessari alla produzione della fabbrica e le polveri che si sollevano.

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