Cultura, a Patti la 67° edizione di Tindari Festival: Oscar Wilde nella voce saggia e poetica di Umberto Orsini

L’intenzione è quella di porre l’attenzione su quei progetti che raccontano la storia del nostro popolo e la nostra identità

Gli organizzatori intendono porre l’attenzione su quei progetti che raccontano la storia del nostro popolo e la nostra identità grazie alle tradizioni che con il susseguirsi di diverse civiltà, hanno generato veri «spettacoli antropologici» che contengono il patrimonio genetico della nostra anima.

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Di fronte alle dinamiche quotidiane e sociali bisogna impattarsi con metodo per tentare di comprendere verso dove può esplicitarsi il merito delle scelte, la capacità di discernere, affinchè il bene sia raggiunto senza dovere sempre ed a tutti i costi tendere presuntuosamente al meglio. Di fronte ad uno spettacolo, pieno di intensità e dolore, il punto sta nel trovare il modo come affrontare poeticamente il dolore, il dramma, ovvero senza cospargere di ipocrisia temi, aspetti, espressioni.

Oscar Wilde, nel suo cammino vitale, splendido e dissennato, trasgressivo e coraggioso, ha intrecciato la sua esistenza dolorosa e perseguitata ad una visione che si racchiude in una sintesi che lo vede osservare ciascuno in quel racchiuso mondo carcerario in cui:

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«Così con occhi curiosi e congetture angosciate
Di giorno in giorno osservandolo,
Ci chiedevamo se ognuno di noi
Non finirebbe alla stessa maniera
Poiché nessuno può dire fino a qual rosso inferno
Possa smarrirsi la sua cieca anima.»

Ne «La ballata del carcere di Reading» Wilde affronta il tema della pena di morte e della sua «morbida attesa». Ma scorge, sotto la luce del giorno l’inferno che si vive in costrizione, di come la carcerazione fa distogliere lo sguardo dalle tenebre dell’anima perché sotto la luce del giorno gli inferni privati determinano una sorta di sfinimento. Tuttavia è lo sguardo verso il cielo sbarrato del carcere che spinge alla dolorosa traversata e dove, nel contempo, c’è sempre la possibilità poetica di osservare, coltivando umori di speranza, le nuvole che viaggiano felici della loro libertà.

Ed in questa dimensione tutta umana, di rara sensibilità, viene fuori la conclusione di quanto è inutile parlare di morte con morte e di come l’artificio umano, artificiale ed imperfetto, possa creare tanto dolore, laddove «ogni legge creata dall’uomo per l’uomo» diviene fonte di dolore. Difatti il carcere, vissuto tremedamente, nasconde cose che nessuno avrebbe il coraggio di raccontare. E come dice Oscar Wilde «la lussuria qua diventa arida polvere» perché alla fine «ognuno uccide la cosa che ama.»

Beh … quando la poesia diviene momento edificate e civile, intrattiene e proietta il pensiero oltre le sbarre, sì da liberare la mente da ogni chiusura. Ed ecco che in Wilde, che fu accusato di omosessualità nel 1895 e, nel novembre dello stesso anno, condannato a due anni di lavori forzati presso la prigione di Reading nel Berkshire. E qui fu anche testimone dell’impiccagione di Charles Thomas Wooldridge, uno tra i pochi uomini che conobbe durante la detenzione. Questi era stato incriminato per omicidio (aveva tagliato la gola alla moglie con un rasoio). Tutto ciò suscitò in Oscar Wilde una profonda riflessione sulla maniera in cui tutti possiamo considerarci malfattori ed in cui tutti abbiamo bisogno di essere perdonati.

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Così in questa sua coltivata prospettiva, i crimini più gravi necessitano del più grande perdono. Ed in questi casi i moralismi sono fuori luogo, perché appartengono a quelle ipocrisie del tutto umane che spingono la mente a rintracciare nella poesia itinerari di giustizia e mitezza, per poter superare le angosce e ridare respiro al dolore, nel segno della speranza. Al teatro antico di Tindari (Patti – Messina) Umberto Orsini con i suoi 89 anni – con una lettura sublime della «Ballata …», musicata da Giovanna Marini, nella performance di questi giorni sostituita da Francesca Brechi – ha tracciato con vocalità sapiente il clima di una denuncia che si impone all’attenzione di tutti ed alla riflessione di molti.

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