Matteo Messina Denaro progettava d’uccidere la nonna della figlia

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La decisione sarebbe scaturita da contrasti familiari

«U Siccu», il boss Matteo Messina Denaro, avrebbe progettato di uccidere la nonna materna di sua figlia Lorenza nata durante la sua latitanza, durata 30 anni e terminata con l’arresto dei carabinieri il 16 gennaio scorso. Il particolare emerge dalle motivazioni depositate nei giorni scorsi dal Collegio del Riesame di Palermo che il 3 maggio ha rigettato l’istanza di scarcerazione di Laura Bonafede, maestra elementare originaria di Campobello di Mazara, paese in cui ha trascorso l’ultimo periodo di latitanza il boss di Castelvetrano, e ritenuta la sua amante.

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Il progetto – mai realizzato – sarebbe scaturito dai contrasti che ci sarebbero stati tra l’ex compagna del latitante, Francesca Alagna, e i familiari di Messina Denaro. Contrasti che sarebbero stati determinati da Filippina Polizzi, madre di Francesca Alagna e dunque nonna della figlia di Matteo Messina Denaro, Lorenza.

Il biglietto tra Messina Denaro e Bonafede

«La Bonafede lasciava intendere – scrive il Riesame partendo dal messaggio del 15 dicembre 2022 tra Messina Denaro e la stessa Bonafede – che questi avesse manifestato il proprio intento omicidiario ai danni di Filippina Polizzi, madre di Franca Alagna e ritenuta la vera artefice delle frizioni familiari».

Nel biglietto citato dal collegio (Lorenzo Chiaromonte, Carmen sallustro giudice relatore estenore; Alessia Geraci, giudice) l’indagata, riferendosi a una precedente comunicazione con il capomafia, dice: «Al punto 35 mi dici che porterai Quella a salutare Uomo», dove «quella» è la Polizzi e «Uomo» è il boss Leonardo Bonafede, padre della maestra deceduto anni fa. Una frase da cui si intende la volontà che la donna raggiungesse il vecchio capomafia, padre di Laura Bonafede, deceduto.

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Secondo i giudici del Riesame – che hanno respinto l’istanza della difesa – «ha contribuito in modo fattivo al mantenimento in vita della peculiare rete di comunicazione di Matteo Messina Denaro, affidando la consegna dei propri scritti ai ‘tramiti’, ideando ella stessa nuovi nomi in codice con cui fare riferimento a terzi soggetti o servendosi di nomi già pensati da boss e distruggendo i messaggi da lui ricevuti in vantaggio dell’ex latitante».

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