Verso i nuovi criteri di finanziamento per il Trasporto Pubblico Locale

La riforma è un’opportunità per tutto il settore (e non solo) essendo il Trasporto Pubblico Locale il «motore» della mobilità

Il Fondo Nazionale per il TPL, inteso come «Fondo per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del Trasporto Pubblico Locale, anche ferroviario», nelle regioni (a statuto ordinario) è stato istituito nel 2013 in sostituzione dei numerosi interventi di riforma succeduti negli anni, a partire dalla Legge Quadro del 1997 (Decreto Burlando 422/97).

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Prima del 1997, vi è da dire, il settore era finanziato con trasferimenti statali tramite il «Fondo Nazionale dei Trasporti», sia con contributi di esercizio che con contributi agli investimenti. Con l’avvento della Legge Delega sul federalismo fiscale (42/2009) si è previsto per il TPL un criterio «misto» di finanziamento che tiene conto, oltre che dei costi standard, anche della fornitura di un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale. Tutto ciò, come noto, avveniva soltanto sulla carta.

Gli stanziamenti del Fondo TPL, inseriti nel Bilancio dello Stato come spesa di previsione del MIMS nel triennio 2022 – 2024, ammontano a poco meno di 5 miliardi di Euro per il 2022, a 5,1 miliardi per il 2023 e 5,2 miliardi per il 2024. Cifre importanti che muovono un volume di affari superiore a 10 miliardi di euro, mille e duecento aziende coinvolte e circa 120 mila lavoratori impiegati. La legge di Bilancio 2022 è poi nuovamente intervenuta sullo stanziamento del suddetto Fondo. Ma questa è un’altra storia.

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Quello che è importante sapere che la ripartizione del Fondo del TPL è tuttora fissata, in attesa che la riforma venga definitivamente approvata ed applicata, sulla base dei criteri definiti da un vecchio DPCM (11 marzo 2013), modificato più volte, in ultimo il 26 maggio 2017. Lo stesso definisce la ripartizione del Fondo su criteri di spesa storica sui quali poi si sono stratificati molteplici interventi normativi di modifica delle modalità di finanziamento e di attribuzione delle risorse.

In sintesi il DPCM 2017 prevede che il 90% del Fondo sia assegnato alle Regioni sulla base delle percentuali fissate nella tabella allegata al decreto stesso e per il residuo 10%, sempre in base alle medesime percentuali, alla verifica del raggiungimento di specifici obiettivi di efficientamento (altro tema annoso, affrontato sempre e soltanto sulla carta).

Il legislatore, a decorrere dal 2018, ha previsto (come anticipato in premessa) una riforma del TPL (DL 50/2017), che modifica sia il criterio di finanziamento del Fondo in attesa del riordino del sistema della fiscalità regionale, sia i criteri per il suo riparto.

Tuttavia, la riforma si sarebbe dovuta applicare a decorrere dal 2020 ma la sua applicazione, a causa dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, è stata rinviata al punto che sia per il 2020 che per il 2021, sono stati confermati i precedenti criteri di ripartizione del Fondo stesso.

In teoria, la riforma prevede nuovi criteri per la ripartizione del Fondo TPL, per far sì che i servizi di trasporto pubblico locale e regionale vengano sempre più affidati con procedure ad evidenza pubblica, prevedendo in particolare «penalizzazioni nella ripartizione del fondo, applicabili per le regioni e gli enti locali che non procedano all’espletamento delle gare, nonché parametri volti a incentivare il perseguimento degli obiettivi di efficienza e di centralità dell’utenza nell’erogazione del servizio».

I nuovi criteri di riparto del Fondo prevedono una quota pari al:
  • dieci per cento dell’importo del Fondo assegnato alle regioni sulla base dei proventi complessivi da traffico e dell’incremento dei medesimi registrato tra il 2014, preso come anno base, e l’anno di riferimento;
  • dieci per cento dell’importo del Fondo assegnato per il primo anno alle regioni in base al criterio dei costi standard;
  • 80% del Fondo, ad eccezione di una percentuale dello 0,025 per cento destinata alla copertura dei costi di funzionamento dell’Osservatorio nazionale del TPL, ripartita sulla base storica (DPCM 26 maggio 2017).

 

Il Decreto citava ancora che «a partire dal 2021 la ripartizione avverrà sulla base dei livelli adeguati di servizio» definiti dal MIMS di concerto con il MEF, previa intesa in Conferenza Unificata (delle Regioni), nonché previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, «in coerenza con il raggiungimento di obiettivi di soddisfazione della domanda di mobilità, nonché assicurando l’eliminazione di duplicazioni di servizi sulle stesse direttrici». Aspetti che in qualche modo tendono a quanto proposto in relazione al «Livello Essenziale di Trasporto», i cosiddetti LEA applicati nel settore del TPL.

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Un ulteriore elemento «innovativo» della riforma prevedeva una «penalizzazione, pari al quindici per cento del valore dei corrispettivi dei contratti di servizio nei casi in cui, entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento, i servizi di trasporto pubblico locale e regionale non siano affidati con procedure di evidenza pubblica ovvero non risulti pubblicato, alla medesima data, il bando di gara». Penalizzazioni che si sono ridotte attraverso l’applicazione di successivi interventi normativi.

La riforma del settore deve prendere le mosse da un nuovo approccio alla gestione dei servizi in linea con le indicazioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, così come ripreso dal nuovo Testo Unico dei Servizi Pubblici Locali:

  • rafforzare e diffondere il ricorso al principio della concorrenza nei contratti di servizio pubblico locale, in particolare per i trasporti pubblici locali;
  • limitare gli affidamenti diretti imponendo alle amministrazioni locali di giustificare eventuali scostamenti dalle procedure di gara attraverso la cosiddetta «motivazione rafforzata»;
  • prevedere la corretta regolamentazione dei contratti di servizio pubblico;
  • prevedere norme e meccanismi di aggregazione che incentivino le unioni tra Comuni volte a ridurre il numero di enti e di amministrazioni aggiudicatrici, collegandoli ad ambiti territoriali ottimali e a bacini e livelli adeguati di servizi di trasporto pubblico locale e regionale di almeno 350.000 abitanti;
  • definire i servizi pubblici sulla base dei criteri del diritto dell’UE, stabilire i principi generali di prestazione, regolamentazione e gestione dei servizi pubblici locali;
  • separare chiaramente le funzioni di regolamentazione e controllo e la gestione dei contratti di servizio pubblico;
  • garantire che le amministrazioni locali giustifichino l’aumento della partecipazione pubblica in società per l’in house providing;
  • prevedere un’adeguata compensazione dei contratti di servizio pubblico, sulla base di costi controllati da regolatori indipendenti (ART per i trasporti);
  • limitare la durata media dei contratti in house e ridurre e armonizzare tra gli enti appaltanti la durata standard dei contratti aggiudicati, a condizione che la durata garantisca l’equilibrio economico e finanziario dei contratti, anche sulla base dei criteri stabiliti dall’Autorità per i trasporti.

Sulle basi della nuova normativa occorre promuovere il concetto del «Livello Essenziale di Trasporto», ovvero prestazioni e servizi che l’amministrazione pubblica è tenuta a fornire a tutti i cittadini in ragione del rispetto di quel diritto alla mobilità richiamato più volte nella Costituzione italiana (articolo 1, primo comma, articoli 2, 3, 4, 16, 33 e 34), sulla base dei «LEA» nell’ambito della sanità. Rafforzare il concetto di un trasporto pubblico concepito a condizioni accessibili per tutti, integrativo alla mobilità privata utilizzata per recarsi sul luogo di lavoro o per raggiungere l’istituzione scolastica o universitaria o sanitaria oppure anche di svago (visto che la mobilità occasionale ha superato di gran lunga quella sistematica), con forme anche diverse dalle soluzioni tradizionali, oggi impiegate in più Paesi europei.

In tal senso risulta necessario incentivare applicazioni per integrare le diverse forme di trasporto, che dovranno essere green e sostenibili, a partire dal soddisfacimento degli spostamenti delle persone con disabilità e garantire l’accessibilità ai territori pensata per due diversi target di domanda, sistematica ed occasionale.

Intervenendo in primis nelle zone rurali, nelle aree a minore domanda, nei borghi antichi e nelle aree periferiche, aree che presentano, rispetto ai centri urbani, maggiori problematiche legate all’abbandono e all’isolamento e sono gravate da problemi di accessibilità e di frammentazione amministrativa e produttiva, favorendo l’adozione di nuove logiche di mobilità attraverso l’utilizzo di tecnologie atte a supportare il processo di riforma del settore quali big data, FCD, IOT, blockchain. Una riforma che necessariamente dovrà interessare i criteri di finanziamento dello Stato alle Regioni, così come già affrontato dal Servizio Studi della Camera dei Deputati. I tempi sono maturi.

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