La premier rivendica «con orgoglio» le scelte fatte finora
No al Mes così com’è, no al salario minimo, no alla direttiva sulle case green e al bando i veicoli a diesel dal 2035, e lotta aperta ai trafficanti di migranti. Giorgia Meloni usa il suo primo ‘premier time’ per fissare nuovamente i paletti identitari dell’azione del suo governo, rivendicando «con orgoglio» le scelte fatte finora e concedendo una sola apertura all’opposizione, dicendosi «disponibile al confronto» sul tema dei congedi parentali, posto da Elly Schlein, a sua volta al debutto in veste di segretario del Pd.
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Il Meccanismo europeo di stabilità
Alla vigilia del Cdm che varerà «una rivoluzione fiscale», la risposta più attesa era quella sulla ratifica del Meccanismo europeo di stabilità. Manca solo l’Italia: fin qui il governo ha passato la palla al Parlamento, ma da Bruxelles premono, non si può rinviare all’infinito. C’è un’anima, nell’esecutivo, propensa a chiudere questo braccio di ferro. Chi si aspettava un cambio di toni dalla premier è rimasto deluso.
«Presidente, ci stupisca, ci dia la data», ha detto in Aula l’autore dell’interrogazione, Luigi Marattin, del Terzo polo, che ha depositato tempo fa alla Camera un disegno di legge di ratifica. «Sfortunatamente, non stupirò il collega», l’esordio di Meloni, che ha ribadito un concetto: «Finché ci sarà un governo guidato da me l’Italia non potrà mai accedere al Mes. E temo che non potranno accedere neanche gli altri».
Come quando era solo la leader di FdI, la premier lo ritiene uno strumento superato da un contesto cambiato (fra inflazione, tassi e rischio di crisi bancarie), da rivedere nell’ambito del negoziato sul Patto di stabilità. Quei soldi, è il ragionamento che sottende, si possono usare in molti altri modi, a partire dalla risposta alle misure anti-inflazionistiche Usa. Questo il senso di citare il presidente di Confindustria Carlo Bonomi: «Si dovrebbe discutere di usarlo come uno strumento di politica industriale europea».
Non vuol dire che l’Italia non ratificherà mai, ma Meloni ha richiamato il mandato parlamentare «a non aprire questo dibattito, in assenza di un chiaro quadro europeo in materia di governance di Patto di stabilità, e in materia bancaria».
Il salario minimo
Il primo confronto diretto con Schlein ha poi misurato la netta distanza sul salario minimo. «Rischierebbe, per paradosso, di creare per molti lavoratori condizioni peggiori: più efficace è estendere la contrattazione collettiva», il pensiero della premier, che offre la mano sul congedo parentale e incassa dalla segretaria dem l’accusa di «incapacità, approssimazione e insensibilità».
La gestione dei migranti
Poi la gestione dei migranti, con l’ultimo naufragio al largo della Libia. E la Meloni ha risposto: «La nostra coscienza è a posto. Spero che chi attacca il governo ma non dice una parola sulla mafia degli scafisti, possa dire lo stesso». Il confronto più acceso è stato con il M5s. All’interrogazione su un contributo di solidarietà a carico del settore bancario, la premier ha ribattuto mettendo nel mirino il superbonus: «Ha anche consentito la proliferazione di un mercato opaco e non governato di circolazione dei crediti fiscali».
Il piano energetico
Gas naturale, idrogeno, biocarburanti, le basi del piano energetico a neutralità tecnologica, e rispondendo ad Avs, ha chiarito che sulla «eventuale autorizzazione di centrali nucleari (non è giusto scommettere su una sola tecnologia) non intendiamo intraprendere alcuna azione in assenza di un eventuale, chiaro indirizzo del Parlamento». «Non siamo pericolosi negazionisti climatici», ha spiegato poi, avvertendo che «la semplice incentivazione all’elettrico rischia di delocalizzare la produzione automobilistica».
Fra gli alleati, la Lega ha sollevato il problema del sostegno ai comuni in difficoltà finanziarie. «Compatibilmente con le disponibilità finanziarie e restando in linea con il quadro di finanza pubblica – la sua rassicurazione – siamo disponibili e pronti a valutare ulteriori interventi».
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