Sabino Cassese soltanto oggi, dopo il successo del centrodestra, afferma che la burocrazia deve essere selezionata per competenze
L’assetto istituzionale italiano ha subito una virata a 180° quando fu introdotta la legge Bassanini, che condusse ad una diversa governabilità amministrativa dentro l’alveo di rinnovato equilibrio istituzionale in cui le competenze si ripartivano riconoscendo compiti e attribuzioni di potere in una articolazione di separazione tra burocrazia e organi politici.
Il nuovo impianto, che coincideva con il trapasso al nuovo secolo, ispirava una diversa attenzione a ciò che si doveva e/o poteva fare nel nuovo modello di governo, onde addivenire a rimettere su un binario in cui la discrezionalità non doveva divenire arbitrio capriccioso in mano ai politici, ma momento di sintesi tra imparzialità e rinnovata efficacia ed efficienza nel procedere amministrativo.
Ebbene su questi temi si sono soffermati e dedicati fior di Consiglieri di Stato, alti burocrati, qualificati professionisti e giuristi che hanno inteso informare la condotta della pubblica amministrazione ai principi basici, basilari ed essenziali che avrebbero dovuto ottimizzare il funzionamento dell’organizzazione di enti, da quelli locali a quelli regionali fino a quelli statali.
Nell’articolo del 10 gennaio 2023 sul Corriere della Sera, Sabino Cassese, luminosissimo interprete della materia amministrativa, consegna al cittadino-lettore nuove considerazioni, che si possono racchiudere in una logica, a suo dire stringente, secondo cui «al di là dei partiti, la burocrazia deve essere selezionata secondo criteri oggettivi, non in base all’adesione alla ideologia di questo o quel partito. Ma deve lasciarsi dirigere dal governo senza frenare o sabotare».
Senza voler intingere il pennino nell’inchiostro della malizia potremmo concludere che l‘ennesima teorizzazione del Giurista Cassese non farebbe una piega se non rimanesse nella sfera delle teorizzazioni. Ovvero se non fosse calata in una dimensione storica, tutta italiana se non prevalentemente italiana, che è a tutt’oggi intrisa di ideologismi e di aggiornate egemonie, che rimangono, a tutt’oggi, collocate a sinistra.
Eppure il Prof. Cassese sa bene che, in politica, per potere realizzare programmi e soprattutto una progettualità di impianto istituzionale, la neutralità, o quella cosa e/o dimensione presunta tale, non ha molto a che vedere con il senso della realtà.
Dagli enti locali alle istituzioni ministeriali le performances sono misurate con nuclei di valutazioni farlocchi, le cui verificazioni possiedono scarsissima oggettività. Di fronte alla realtà quindi l’incedere governativo ed amministrativo appare accidentato e dolente, laddove si possa o si voglia immaginare che le regole del funzionamento istituzionale e di buon andamento amministrativo possano essere ispirate al concetto di «dono», negando la possibilità a chi arriva al governo non essendo di sinistra si debba confrontare con le enormi stratificazioni sub-culturali, che sono preda di «ismi» e soprattutto retaggio di anni di responsabile tergiversare.
Su questi passaggi il Prof. Cassese offre ancora una volta una lucida rappresentazione di visioni ipocrite che negano evidenza a quel patrimonio, fatto di prassi ed esperienza esistenziale, che rimane intrisa di logiche di potere o meglio ancora di esercizio prepotente di «nudo» potere, ovvero di quello che si manifesta in plessi istituzionali che vengono occupati da personalismi, di esercizio pratico senza valori «condivisi» e soprattutto con una sorta di legalità-legittimità del tutto opinabile, perché del tutto povera di trasparenza e svolta sulla base di scelte compiute all’insegna di un pragmatismo poco convincente.
Oggi il limite del ragionamento di Cassese sta nel fatto che questi immagina, solo adesso, un cambio di passo in una fase in cui non ci sia l’egemonica sinistra al potere. Insomma questo avviene dopo tanto assolutismo ideologico, morale, culturale e soprattutto gestionale. Di qui il limite che rende il discorso fatto solo oggi poco persuasivo.
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