Conflitto ucraino-russo, dalla «Rivoluzione arancione» del 2004 alla guerra di oggi

Le cause dei problemi attuali hanno pregressi storici

Dopo un semi-silenzio durato oltre un quinquennio, interrotto da sporadici intervalli informazionali, da diversi giorni, a ragione, la questione pandemica e info-demica ha ceduto lo spazio divulgativo alla spinosa questione dell’irrisolto conflitto ucraino-russo. Chi si occupa professionalmente dell’area Slava Orientale (Ucraina, Russia e Bielorussia) o è impiegato nell’ambito culturale e/o diplomatico in uno di questi paesi è profondamente conscio che le cause primarie dei numerosi problemi attuali hanno pregressi storici più antichi ma anche recenti.

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È senza dubbio complicato spiegare al grande pubblico che gli antecedenti recenti della situazione attuale sono iniziati, a dir poco, dai primi anni duemila. Una prima tappa fondamentale è stata la cosiddetta «rivoluzione arancione» (movimento di protesta pacifico) del 2004 che, per la prima volta dopo l’Indipendenza dell’Ucraina dall’ex Unione Sovietica (1991), ha fatto emergere le diverse anime e dissidi interni alla non sempre omogenea società ucraina.

Le premesse per il consolidamento di blocchi opposti

Questa prima contrapposizione tra le due anime del paese impersonificata nei due presidenti concorrenti di quel periodo (Juščenko e Janukovyč) ha creato le premesse per il consolidamento di blocchi opposti: i sostenitori di un percorso di europeizzazione e euro-integrazione con conseguenti aspirazioni ‘nord-atlantistiche’ (NATO) da un lato e i propugnatori di un riassetto socio-politico, linguistico e culturale di vicinanza alla Russia dall’altro.

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In realtà questa incrinatura interna era dovuta anche al modo di rapportarsi al comune passato sovietico, l’humus culturale di provenienza e al processo di ucrainizzazione non sempre scevro da polemiche per il modo con cui è stato realizzato. Certamente le regioni storicamente e geograficamente più prossime e legate alla Russia e, quindi, meno soggette al processo di ucrainizzazione, hanno continuato a involversi come se l’Unione Sovietica non si fosse mai veramente dissolta.

I ‘moti’ di Majdan (Euromaidan, 2014) con la sua famosa ‘centuria celeste’ di vittime civili, vissuti in prima persona da chi scrive, rappresentano il secondo tassello dello scenario formatosi in precedenza e il preludio alla criticità presente. A tutti è nota l’annessione della Repubblica Autonoma di Crimea (2014) da parte della Federazione Russa a seguito di concause interne ed esterne.

Tra le prime si può annoverare il comune sentire verso il mondo russo di una parte non trascurabile della popolazione locale di questa strategica penisola, storicamente oggetto del contendere tra diverse potenze regionali e sovraregionali. A quanto detto va tuttavia aggiunto che le frange di popolazione locale, tra cui si annoverano diverse etnie, fedeli al governo di Kyiv e al senso di appartenenza a una ‘nazione’ e cultura ucraine, non erano così insignificanti come spesso ci hanno indotto a credere. Tra le cause esterne esistono indubbiamente ragioni geo-politiche che, da un punto di vista strettamente russocentrico, sarebbero finanche comprensibili.

Luhans’k e Donec’k

Il conflitto, prima socio-civile e poi militare, nelle regioni orientali di Luhans’k e Donec’k, anche esso cominciato nel 2014, è stato l’ultimo tassello per concretizzare ambizioni personali e statali di rappresentanti locali delle pseudo-repubbliche e per soddisfare le mire geo-politiche russe.

La cornice ideologica di tanto fermento è da ricercarsi: 1) nel malcontento di un numero considerevole di persone le quali, per circa un ventennio, avevano continuato a vivere come nulla fosse cambiato nell’Ucraina post-sovietica; 2) nell’ indifferenza o, addirittura, nella ostilità al processo di ucrainizzazione linguistico-culturale imposta dal governo centrale e da intellettuali eccessivamente rigidi e con metodi non sempre condivisibili per uno spettatore occidentale. Indiscutibilmente il possesso di questi territori e la guerra ibrida che qui si conduce da oramai sette anni servono da testa di ponte per creare un corridoio strategico unico che unisca queste sedicenti repubbliche alla Crimea e per minare l’ordine e i principi su cui si regge la costituzione ucraina.

A quanto detto finora si potrebbe parlare della questione della lingua, del ruolo del russo come arma ideologica per difendere le “minoranze” in pericolo, della propaganda politico-militare ecc. Ma rimanderemo la discussione di questi punti a un’altra occasione.

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Per diversi anni si è tentato di segnalare alla stampa e, più in generale, ai media italiani che nell’Ucraina orientale, nelle autoproclamatesi “repubbliche” di Luhans’k e Donec’k, esisteva una guerra latente che è costata la vita a una quantità ingente di soldati e civili. Il profilo dormiente adottato dalla politica italiana non ha dato mai importanza a questa guerriglia non convenzionale combattuta in un lembo di terra ritenuto marginale o, secondo una concezione greco-romana risalente ad Erodoto, ai confini più orientali di quella che anticamente si considerava il confine più remoto dell’Europa.

Le inesattezze storiche

Al di là delle questioni nodali che hanno causato, acuiscono o creeranno degli scenari bellici dai presagi oscuri, mi sembra giunto il momento di rompere gli indugi e segnalare le diverse inesattezze storiche, socio-politiche, terminologiche e culturali che emergono negli innumerevoli servizi (reportage) e dibattiti televisivi riservati, quasi ex nihilo, alla situazione conflittuale ucraino-russa.

Cominciamo con le imprecisioni terminologiche più evidenti, per rimandare ad altre sede quelle di impronta socio-politica, storica e simili. Tra le prime notiamo: 1) il “Patriarcato” di Kyiv, laddove si tratta(va) di una metropolia (Sangiuliano, direttore TG2); il classico Ucràina e ucràino (diffusasi in Italia tra i migranti ucraini stessi e per designare costoro da parte di italiani che inizialmente non avevano neppure un’idea concreta di questo stato) invece del normativo Ucraìna e ucraìno.

Notiamo che la prima variante rappresenta una forma enfatica, usata talvolta in componimenti letterari, il cui uso non corrisponde alla norma ucraina attuale e al modo con cui gli studiosi di lingue slave generalmente si riferiscono a questo Paese. Ricordiamo, inoltre, che anche il dizionario Devoto, Oli raccomandava, fino a qualche tempo fa, la variante Ucraìna come prima opzione; 3) Unione Sovietica per designare la Federazione Russa (presidente Regione Calabria) ecc. La lista potrebbe continuare se solo avessimo avuto il tempo di annotare o registrare tutte le imprecisioni ed errori storici, geografici, politici e linguistici.

I media e il sentito dire

Cospicuo è il numero di persone, tra i quali conduttori, giornalisti e intervistati dei diversi canali di stato (RAI), LA7, Mediaset ma anche della stampa dominante e convenzionale (‘mainstream’) che si esprimono per sentito dire o per aver letto in modo frettoloso di un Paese (Ucraina) noto, fino a qualche tempo fa, solo come “espressione geografica” di Metternichiana memoria o per la sua forza lavoro in Italia. Quanto appena detto si applica, sebbene in misura minore, anche alla conoscenza, spesso filtrata dai soliti corrispondenti, che si ha della Federazione Russa.

Solo di recente (speciale su RAI3 del 19 febbraio 2022; mezz’ora in più di L. Annunziata del 20 febbraio 2022 e oggi 21 febbraio 2022) si è assistito a dibattiti più convincenti ed espressi, dai vari ospiti, con una certa cognizione di causa. Anche se alla domanda finale rivolta all’esimio storico francese ospite di Lucia Annunziata su cosa rappresenti l’Ucraina per La Russia, la risposta è stata vaga e confusa. Sicuramente uno studioso di ucrainistica o della Slavia Orientale avrebbe fornito una risposta più netta e soddisfacente.

La necessità di un’informazione corretta

Mi chiedo, dunque, se oltre alle equilibrate analisi di natura politica, energetica e ai possibili risvolti di uno scenario bellico, non sarebbe più utile e appropriato confrontarsi, per una volta, con il parere autorevole, almeno per dare al grande pubblico un’informazione corretta, dei diversi studiosi italiani di ucrainistica e slavistica tra i quali si annoverano storici, culturologi e linguisti.

Questi ultimi, oltre agli anni di studio dedicati ai rispettivi campi di ricerca (quest’ultima da intendersi non solo di tipo scientifico come, in modo sotteso, ci propinano in televisione), hanno il vantaggio di seguire gli avvicendamenti internazionali direttamente dalle fonti senza l’intermediazione, talvolta fuorvianti, di traduzioni e adattamenti in italiano di media stranieri, in particolare inglesi, francesi e/o tedeschi. Tra questi ci sono anche coloro i quali vivono nei rispettivi Paesi e percepiscono gli umori della gente e hanno il polso della situazione.

Salvatore Del Gaudio
Professore presso l’Università di Kyiv B. Grinchenko
Studioso ucrainista (slavista)

Setaro

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