Oggi Cigl e Uil scioperano contro una manovra ancora bloccata in Senato. Ipotesi approvazione sotto l’albero

Si torna a parlare di nuove misure restrittive per l’emergenza Covid-19

Lo sciopero di Cgil e Uil, una manovra finanziaria ancora da definire e poi il Quirinale dove si naviga a vista. C’è ancora tanto in questo finale di 2021 per la politica italiana, su cui peraltro continua ad incombere la pandemia, con la nuova variante Omicron. Anzi il giorno dopo il nuovo allungamento dello Stato di emergenza sottovoce si torna a parlare di nuove misure restrittive, di ritorno ai colori nelle varie Regioni e di una campagna vaccinale che tra terze dosi e vaccinazioni ai bambini deve cercare di correre veloce.

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Come detto oggi sarà il giorno dello sciopero di Cigl e Uil, che hanno deciso di spaccare l’unità sindacale e scendere in piazza. Uno sciopero generale contro la manovra e in particolare verso una riforma fiscale considerata iniqua, che privilegia i redditi medio alti e non quelli più bassi. Sotto accusa anche l’atteggiamento del governo considerato di chiusura alle rivendicazioni sindacali.

Accuse, chiaramente, rigettate dal premier Draghi il quale, invece, ha ribadito che «non c’è stata alcuna volontà punitiva verso i sindacati. C’è volontà di colloquio, confronto e ascolto», ed a riprova di questo già per lunedì è fissato un vertice sul tema delle pensioni. Ma tant’è che oggi per otto ore i lavoratori aderenti ai due sindacati incroceranno le braccia.

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Uno sciopero che però ha unito tutto il mondo politico nella condanna

Da destra a sinistra, passando attraverso la composita maggioranza di governo, tutti si sono schierati contro la scelta di Cgil e Uil. Inopportuno in un momento difficile e critico come questo, è stato il commento delle forze politiche convinte che in una fase in cui l’epidemia ritorna a galoppare è inopportuno dividersi ed aprire fronti di polemica. T

anto che lo stesso leader della Uil, Paolo Bombardieri, ha sentito il bisogno di difendersi spiegando che «non abbiamo proclamato la terza guerra mondiale, domani andiamo in piazza perché ci sono cose che non tornano nella riforma fiscale, ma non abbiamo intenzione di animare guerre tra contribuenti».

Ma quello che risalta di più in questo contesto non è tanto la protesta, legittima, delle forze sindacali verso una manovra che non piace, quanto piuttosto il fatto che di questa al momento non c’è traccia in Senato. Infatti, l’avvio della discussione continua a slittare. Ieri l’attesa in Commissione Bilancio è stata vana. I primi emendamenti del governo arriveranno oggi e dovrebbero riguardare alcuni punti della legge di Bilancio quali il taglio delle tasse, le risorse per le città metropolitane in pre-dissesto e fondo di emergenza Covid.

Ancora molto poco considerando che finora la Commissione non si è mai riunita per esaminare gli emendamenti. Una scelta dettata dalla volontà di trovare prima un’intesa all’interno della maggioranza e con l’opposizione di Fratelli d’Italia per ridurre la mole delle migliaia e migliaia di emendamenti, peraltro soprattutto delle stesse forze di governo.

Il voto in Aula con la fiducia

Le previsioni sono che soltanto nel week end si potrebbe dipanare la matassa, consentendo tra domenica e lunedì di approvare il testo in Commissione. L’approdo in Aula, infatti, sarebbe previsto per martedì 22 con voto finale, chiaramente con la fiducia, per mercoledì 23; il che significa che per il via libera definitivo da parte della Camera bisognerà attendere dopo Natale.

In tutto questo il vero nodo sembra essere quello della proroga delle scadenze delle cartelle esattoriali. Per quelle scadute lo scorso 14 dicembre e che riguarderebbero le ultime due annualità ci sarebbe ben poco da fare, mentre si starebbe lavorando su quelle in scadenza a gennaio. Infatti, l’ipotesi sarebbe di spostare la scadenza al successivo mese di settembre, dando così un extra-time di 180 giorni. Soluzione che secondo molti potrebbe sbloccare le resistenze interne alla maggioranza, in particolare Forza Italia.

La scelta del successore di Mattarella

Ultimo tema il Quirinale. Anche se c’è ancora un mese le forze politiche sono in piena fibrillazione. Proprio ieri sera a L’Arena di Massimo Giletti, Matteo Salvini ha annunciato «un tavolo di lavoro tra i leader» tra Natale e Capodanno. Il leader leghista da quando si sono spente le luci della manifestazione della Meloni, Atreju, si sta sbattendo per acquistare centralità in questa delicata partita, ma finora ha raccolto molto poco.

Dall’altro campo Enrico Letta, sempre ieri, ha piazzato un paletto contro la candidatura di Silvio Berlusconi, chiarendo che «rivedendo i 12 presidenti viene fuori che non c’è mai stato nessun leader o capo politico». Insomma, un bel ‘no’ al Cav, peraltro scontato. In realtà, il problema al momento sembra essere non soltanto quello legato al nome ma anche al metodo con cui scegliere il successore di Mattarella. La speranza è che chiusa la partita della manovra si possa trovare un punto di caduta sia sul metodo e sia sul nome.

Intanto, Mario Draghi, da molti considerato il candidato ideale, mantiene il riserbo più assoluto anche se ha annunciato che il 22 dicembre terrà la a conferenza stampa di fine anno. Una data abbastanza inusuale visto che finora i suoi predecessori avevano preferito fissare il consueto incontro con la stampa parlamentare intorno al 29/30 dicembre, appunto a fine anno. Perché questa anticipazione? C’entra qualcosa con la corsa al Quirinale? L’ennesimo interrogativo di questa corsa al Colle, che si preannuncia come la più delicata della storia repubblicana.

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