A vent’anni dall’11 settembre, tra rievocazione e consapevolezza della nuova minaccia islamica

di Dario Caselli

Con il ritorno dei talebani a Kabul il ventennale dell’attacco alle Torri Gemelle acquista un significato diverso e impone nuove riflessioni

Vent’anni dall’11 settembre del 2001, quando il mondo conobbe il terrore islamico che si abbattè sugli Usa portando per la prima volta il terrore e la morte sul loro suolo. A due decenni esatti a rubare la scena o comunque a distogliere l’attenzione e la commozione del mondo da New York è il ritorno dei Talebani a Kabul. Anche questi ritornati al potere dopo 20 anni esatti a seguito del rocambolesco e troppo precipitoso ritiro delle truppe Nato.

11 settembre, Casini: «La riflessione di oggi non può essere un mero evento rievocativo»

Forse nessuno immaginava che questo ventennale sarebbe passato alla storia per il fatto che i talebani sarebbero ritornati al potere, riportando quel territorio indietro nel tempo. E non a caso Pierferdinando Casini, organizzatore del convegno che ieri in Senato ha commemorato con tutti i leader politici l’11 settembre, ha fatto notare come «a distanza di 20 anni, la riflessione di oggi non può essere un mero evento rievocativo: essa si lega infatti alle immagini strazianti dei cittadini afghani attaccati ai carrelli degli aerei in decollo da Kabul: una sorta di resa dell’Occidente costellata da contraddizioni e errori».

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Meloni: «Dobbiamo equilibrare l’Alleanza atlantica»

Per lui la ritirata è «un cambiamento epocale», o come ha fatto notare Giorgia Meloni «una fuga disastrosa» che adesso impone «scelte coraggiose, dobbiamo equilibrare l’Alleanza atlantica, facendo assumere finalmente all’Europa il ruolo di un alleato pari agli Stati Uniti, ma la politica estera e di difesa comune è possibile solo con un modello di Europa confederale, non aspettando il mitico ‘superstato’ europeo».

E se per il presidente del Copasir, Adolfo Urso, un governo dei talebani «è uno schiaffo ai valori dell’Occidente», Matteo Renzi invita a riflettere su quanto sta accadendo in questi giorni ed a «lavorare per un nuovo ordine mondiale che non può essere quello dell’America First perché è una visione che si ferma sulla sponda degli Oceani».

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Salvini: «Non bisogna riconoscere il regime talebano ma combatterlo»

Ma nel frattempo va affrontato il tema del rischio di una recrudescenza del terrorismo islamico dopo il ritorno dei talebani, come spiega Matteo Salvini, per il quale questo va arginato «non solo in Afghanistan ma nel mondo. Non bisogna riconoscere il regime talebano ma combatterlo. Bisogna sostenere gli afghani e le afghane che si stanno ribellando ma non a parole, con i convegni o con riunioni, ma adesso, se la comunità internazionale non interviene adesso poi sarà troppo tardi».

Letta: «La minaccia terroristica è presente»

Minaccia terroristica che unisce forse per la prima volta Salvini ed Enrico Letta, con quest’ultimo convinto che questa «è sempre presente, si è declinata in maniera diversa in questi vent’anni ma purtroppo è ancora lì, come si visto all’aeroporto di Kabul».

Conte: «Definire bene le priorità della politica estera»

E per Giuseppe Conte la chiave è «il multilateralismo» nella consapevolezza che solo questo «può offrire strumenti di governo di scenari così complessi. Si ragiona di politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea. Benissimo, però è chiaro che prima di ragionare di un esercito comune dobbiamo definire bene le priorità della politica estera, che sicuramente non possono essere le stesse degli Stati Uniti, pur rimanendo ben saldi nell’alleanza euroatlantica».

Tajani: «Serve un colpo di reni da parte del nostro Paese»

E nel solco di un’azione multilaterale si pone anche Antonio Tajani per il quale «serve un colpo di reni da parte del nostro Paese. Lo chiedo, al presidente del Consiglio Mario Draghi: ha l’autorevolezza per chiedere una Conferenza di pace in tempi rapidi. Per mettere nelle condizioni di poter continuare a vivere tutti quegli afgani che guardano a noi con speranza e fiducia e chiedono a noi di salvare la loro vita e la loro dignità di persone».

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