Una componente essenziale della persona: la sua identificazione

di Eugenio Preta

Le norme dello stato civile tuttora vigenti richiedono un cognome che, a meno di decisione contraria, sarà quello del padre

Non c’è alcun dubbio ad ammettere che, nella gravosa conduzione della maternità, le donne siano molto più generose degli uomini: trascorrono nove pesanti mesi senza potersi concedere alcuna pausa, soffrono disordini di ordine fisico, ormonale e psichico, subiscono poi il parto e le cure seguenti e soprattutto soffrono le modifiche temporanee o permanenti del loro corpo senza ricevere mai prova di gratitudine da parte dei mariti nè dei figli

Però è la natura stessa a non aver mai permesso che i ruoli dell’uomo e della donna potessero invertirsi e divenire interscambiabili.

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Nonostante il delirio delle donne trans-gender che, pur se si sono impegnate ad identificarsi come maschi, continuano a condurre in prima persona la maternità e a partorire i figli e, almeno finché l’ectogenesi non sarà divenuta realtà, solo loro potranno diventare madri e originare i figli: è la natura!

Non c’è dubbio del resto che, da parte sua, l’uomo doni i geni che ha ereditato dai suoi genitori, non tutti, ma almeno la metà, e che l’altra sia demandata alla responsabilità della donna: una specie di lotteria biologica.

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A volte, all’annuncio di una gravidanza, l’uomo può diventare vile e scappare oppure offrire riparo e protezione alla madre e al suo bambino, altre ancora, fortunatamente più spesso, può decidere di formare una famiglia, questo ectoplasma cioè dove i figli possano crescere circondati dall’amore e dalla protezione dei due genitori .

Gli attuali Soloni, progressisti «costi quel che costi», hanno trovato nel sistema di obsolescenza programmata delle coppie e delle famiglie un motivo di lotta che hanno deciso di intestarsi per combattere e vincere.

A priori però è ancora l’uomo a dare il suo nome alla famiglia, un patronimio indissociabile che si trasmette alla generazione che seguirà.

La scelta del nome può durare anche per tutti i fatidici nove mesi, dar luogo a discussioni omeriche che spesso diventano vere e proprie liti, originare occasioni di ricatto, persino compromessi, ma una volta venuto al mondo il neonato ha bisogno di un cognome.

Le norme dello stato civile tuttora vigenti richiedono un cognome che, a meno di decisione contraria, sarà quello del padre anche se la legge ha già creato una serie di deroghe che permettono, ad esempio, l’apposizione del cognome materno o un cognome composto da quello dei due genitori

Naturalmente le femministe sono insorte denunziando come, attualmente, l’80% dei neonati porti solo il cognome del padre, ed in contrapposizione ad una tradizione che ritengono arretrata, hanno fondato associazioni – condivisibili del resto – che lottano per rendere automatica la concessione del doppio cognome al neonato, l’aggiunta del cognome materno come tutela in caso di separazione e hanno preteso che la madre possa validare la dichiarazione del nome e del cognome presso i registri dello stato civile

Nel momento in cui ormai la filiazione pare divenuta un progetto modulabile e persino revocabile, lo stato civile diventerebbe una specie di mercato dove in qualche modo si potrebbe contrattare e mercanteggiare una componente essenziale della persona: la sua identificazione.

Il buon senso comporterebbe che, preventivamente ad ogni mescolanza di gameti, i protagonisti possano trovare un accordo preventivo e duraturo nell’ottica di poter affrontare tutti i rischi che possono insorgere dalla procreazione conseguente alla loro attività sessuale.

I più realisti hanno intravisto in queste manovre sull’identificazione del neonato un nuovo attacco contro la paternità e la filiazione, ma sono stati subito redarguiti come dei veri paranoici.

Resta che, nel solco di un diritto di famiglia che subisce continuamente gli attentati di un progressismo spesso senza senso, si delinea una logica sempre più perseguita: quella di un padre, avvertito ormai come l’eterno inutile.

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