Via libera in Senato al dl Sostegni ma è alta tensione in maggioranza. I giallorossi impongono a Lega e Fi la discussione sul ddl Zan

di Dario Caselli

C’è voluta tutta la giornata, lo slittamento del voto di un paio di ore ma alla fine l’Aula di Palazzo Madama ha dato il prima via libera al dl Sostegni. Complice lo stralcio del Superbonus per le aziende chiesto dalla Ragioneria generale dello Stato che aveva messo il M5S sul piede di guerra, pronti a non votare la fiducia. È bastata però qualche ora per far rientrare la minaccia, soprattutto l’ipotesi del voto con la concreta scomparsa nelle urne del Movimento, attestandosi sul comodo: ripresenteremo la norma nel dl Sostegni bis. In fin dei conti i grillini pur di evitare di andare a votare sono pronti a qualsiasi conversione.

E quindi soltanto con qualche ora di ritardo sulla tabella di marcia il Senato ha dato l’ok alla fiducia e quindi il via libera al provvedimento che ora passerà alla Camera dove dovrà essere approvato prima del 21, pena la decadenza del dl. In tutto si tratta di 32 miliardi di euro, di cui un terzo degli aiuti (11 miliardi) è destinato alle imprese e alle partite Iva sotto forma di contributi a fondo perduto, altri 8 miliardi serviranno per coprire la Cassa Covid, il reddito di emergenza e quello di cittadinanza. Per quanto riguarda il cammino in Senato le modifiche apportate complessivamente sono state di 770 milioni di euro.

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Come anticipato dagli stessi Cinquestelle adesso l’attenzione si sposta sul nuovo provvedimento, il decreto Sostegni bis, su cui però già si registrano le tensioni della maggioranza. Il decreto che sarebbe dovuto arrivare questa settimana sul tavolo del governo è slittato alla prossima settimana. Troppe le richieste, tanti pronti a tirare la corda dal proprio lato che alla fine hanno spinto il premier ed il ministro Franco a prendersi tempo ed a valutare con calma il da farsi.

Matteo Salvini ha già delimitato i confini del decreto che «si occuperà solo e soltanto di aziende, imprese, artigiani, partite Iva, commercio e professioni». In effetti però dal Pd fanno sapere che bisognerà affrontare anche il tema del turismo, con la previsione di misure ad hoc per il settore alla luce soprattutto dell’approssimarsi della stagione estiva.

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Dal canto suo il M5S, spalleggiato dai sindacati, punta al rinnovo del blocco dei licenziamenti previsto per giugno. Insomma, la situazione è ben lontana dall’essere ben definita e le richieste dei partiti sono tante e diverse. Peraltro, le continue critiche e proteste confermano che quanto fatto finora con il primo dl Sostegni non ha prodotto quei benefici che ci si attendeva. Ecco allora spiegata la grande attesa per il prossimo decreto.

Ma le tensioni interne alla maggioranza non si limitano al Sostegni. Sempre al Senato è stato soprattutto il ddl Zan ad aumentare la temperatura oltre i livelli di guardia. Da un lato la maggioranza della maggioranza a trazione giallorossa e dall’altro il cosiddetto centrodestra di governo, o forse sarebbe meglio dire il centrodestra di minoranza che in Commissione Giustizia ha dovuto subire la decisione a colpi di voti di maggioranza di procedere all’esame del testo Zan senza abbinarlo agli altri testi presentati.

Insomma, si discuterà il ddl Zan in barba ai regolamenti parlamentari che avrebbero dovuto prevedere quanto meno un esame congiunto con gli altri ddl depositati in Commissione. La conferma di una chiusura netta e di uno scontro che andrà avanti a colpi di maggioranza. Ed almeno per il momento il tentativo di Lega e Forza Italia di presentare un testo alternativo è andato a vuoto, a conferma che i due alleati del centrodestra sono isolati nell’attuale maggioranza.

Non è però soltanto nella maggioranza ad essere incandescente il clima, lo è anche nel centrodestra nella sua versione ordinaria. È Matteo Salvini ad alzare la tensione attaccando Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, colpevoli di dire sempre di no, riguardo le candidature per le elezioni amministrative. Un atteggiamento di chiusura che avrebbe portato al rifiuto di candidarsi per la poltrona di sindaco a Milano e Roma sia Albertini e sia Bertolaso.

«Se tu mi dici no a Bertolaso, io non da segretario della Lega ma da cittadino romano o da elettore del centrodestra mi aspetto che tu mi dica ‘no Bertolaso perché mi sta antipatico, vorrei X. Non puoi dire no a questo o a quest’altro: ci troveremo, troveremo la soluzione migliore nel nome dell’unità che è sempre un valore però romani e milanesi meritano risposte subito».

Dal canto suo Fratelli d’Italia con Ignazio La Russa chiarisce che «Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni non hanno fino a oggi espresso alcun ‘no’ verso nessuno dei possibili candidati candidati nè espresso pubblicamente alcuna preferenza che inevitabilmente, se affidata ai media, producono incomprensioni o peggio polemiche». Piuttosto La Russa rilancia «l’occasione non più rinviabile dell’incontro necessario per concordare amichevolmente i nomi dei candidati di centrodestra nelle grandi città per battere sinistra e 5 stelle».

Incontro che, almeno per il momento, non è fissato e che probabilmente rimane lontano dalle agende per via della vicenda Copasir, su cui da tempo con forza Fratelli d’Italia ne richiede la guida, alla luce della legge che impone la presidenza a un esponente dell’opposizione. Poltrona occupata dal leghista Volpi e che non ha intenzione di lasciare. Insomma, non solo nella maggioranza di governo ma anche nell’altra parte dello schieramento dove, complici anche i sondaggi che danno Matteo Salvini e la Lega in calo rispetto a Fratelli d’Italia, le liti non sembrano facilmente superabili.

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