Alla fine la Lega balla da sola. Draghi segue Conte e chiude l’Italia fino al 30 aprile

“Pensabile o impensabile dipende solo dai dati che vediamo”. Poche parole, quelle che Mario Draghi affida a una conferenza stampa, che servono a misurare e delimitare lo scontro con Matteo Salvini e la Lega. Nel venerdì che precede la chiusura pasquale e soprattutto apre quella che sarà senza dubbio la settimana che deciderà il nuovo decreto legge Covid, va in scena l’ennesimo confronto a distanza tra il leader leghista e Mr Bce.

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Ormai sembra quasi un copione scritto nel quale a Salvini va la parte del Pierino guastafeste, che pianta le grane, ogni tanto fa la voce grossa ma che alla fine è costretto a ritirarsi alla chetichella. E’ già accaduto in occasione del dl Sostegni quando la Lega aveva cercato di forzare la mano per allargare le maglie dello stralcio delle cartelle esattoriali, ed anche quella volta alla fine era dovuto intervenire Mario Draghi a porre il suo veto.

Lo stesso è accaduto ieri nella riunione della cabina di regia convocata per iniziare a discutere e preparare il nuovo decreto legge. E già dal mattino Matteo Salvini aveva indicato la sua road map: «È impensabile tenere chiusa l’Italia anche per tutto il mese di aprile. Nel nome del buonsenso che lo contraddistingue – e soprattutto dei dati medici e scientifici – chiediamo al presidente Draghi che dal 7 aprile, almeno nelle regioni e nelle città con situazione sanitaria sotto controllo, si riaprano (ovviamente in sicurezza) le attività chiuse e si ritorni alla vita a partire da ristoranti, teatri, palestre, cinema, bar, oratori, negozi».

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In realtà, la posizione del leader leghista non è una novità. Da tempo, infatti, si è posto alla testa degli aperturisti, di coloro che vorrebbero una scelta in discontinuità con la politica di divieti e chiusure imposte dal precedente governo. Una sfida all’ala più radicale della maggioranza rappresentata dai ministri Speranza e Franceschini, che da sempre chiedono cautela se non addirittura rigore nella politica sanitaria.

Un confronto che plasticamente è andato in scena al tavolo della cabina di regia dove, appunto, la Lega con Giancarlo Giorgetti ha ribadito la necessità di un segnale di discontinuità. Richiesta a cui si è accodata anche la stessa Forza Italia con il ministro Gelmini, chiedendo che il nuovo decreto non avesse validità fino alla fine di aprile ma piuttosto alla metà del mese.

Richieste che però si sono infrante contro il muro della fermezza e dello stesso Draghi che, come detto, ha lasciato nuovamente isolata la Lega schierandosi con la vecchia maggioranza giallorossa di Conte. Una scelta fatta in base alla considerazione che aperture e chiusure saranno decise soltanto sui dati che arriveranno, perché senza dubbio «è desiderabile riaprire» ma «poi la decisione sul se, cosa e quando riaprire dipende esclusivamente dai dati che abbiamo a disposizione».

Insomma, nessuno spiraglio nemmeno sulla durata del decreto che rimane fissato a fine mese ma con la possibilità di un check intorno alla metà di aprile per verificare, sempre con dati alla mano, se ci sarà la possibilità di un allentamento. Quindi, ancora per tutto aprile niente zona gialla ma soltanto arancione e rosse con tutti i divieti e le chiusure che comporta.

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Unica concessione, però, la riapertura delle scuole di infanzia e primarie che anche nelle zone rosse torneranno ad essere in presenza. Per il resto prevale il rigore.

Dalla Lega non arrivano reazioni ufficiali, soltanto la precisazione che le parole di Salvini non erano dirette al premier Draghi ma rivolte all’ala dura della maggioranza (i ministri Speranza e Franceschini), la cosiddetta “linea del terrore”. Comunque sia la Lega esce nuovamente sconfitta dal braccio di ferro, che sia sulle cartelle esattoriali oppure sulla gestione della pandemia.

Dall’opposizione Giorgia Meloni evita di affondare il dito nella piaga dell’alleato di centrodestra e piuttosto rileva come «il premier Draghi ha finalmente ammesso che il problema dei contagi non sono tanto le scuole quanto i trasporti, su cui incidono prevalentemente gli spostamenti dei ragazzi delle scuole superiori. È da circa un anno che ripetiamo che i ragazzi stanno pagando un prezzo altissimo a causa dell’incapacità dei governi di mettere in sicurezza il trasporto pubblico potenziandolo anche attraverso il coinvolgimento di privati».

La prossima settimana, quindi, sarà decisiva. Draghi conta per la metà settimana di varare il provvedimento che dovrà scattare dal 7 aprile e senza dubbio gli occhi saranno puntati tutti sulla Lega, perché più le settimane passano e sempre di più sono quelli che si chiedono quale sia stato il senso di appoggiare un governo in perfetta continuità con quello Conte. Insomma, non è che alla fine aveva ragione Giorgia Meloni?

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