E’ notte fonda. La crisi si allunga, Renzi chiude per ora al Conte ter e chiede mandato esplorativo

E’ notte fonda. Il secondo giorno di consultazioni riflette l’immagine di una crisi che si fa più contorta, lunga e imprevedibile e che sta tutta in due sguardi: quello di Matteo Renzi e di Nicola Zingaretti.

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Il primo alto sempre rivolto alla telecamera quasi a voler incrociare gli occhi di ogni singolo telespettatore, sicuro di quello che dice e pensa; l’altro cupo, torvo, basso sul foglio scritto, cercando di sfuggire gli sguardi per evitare di far leggere la palpabile preoccupazione. Ed alla fine sarà l’unico a non rispondere alle domande dei giornalisti al Quirinale, segno evidente di nervosismo.

Sta in questi sguardi il riassunto di un’intera giornata di consultazioni, che a sera rilascia la convinzione che chi pensava di poter chiudere in breve tempo la crisi si dovrà velocemente ricredere.

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C’è però un risultato, che poi è come il classico bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, che le consultazioni di ieri lasciano e cioè che alla fine di questa giostra di incontri e questa gara di dichiarazioni tutto si concluderà con un mandato esplorativo. Non a Giuseppe Conte, però, ma probabilmente al presidente della Camera, Roberto Fico, passaggio preliminare e necessario per vedere se esista ancora una maggioranza di centrosinistra.

Nicola Zingaretti

Se questo poi porterà al Conte ter è tutto da vedere, perché come spiegherà a Porta a Porta il presidente di Italia Viva, Ettore Rosato: «Non siamo ancora disponibili a un governo con Conte». Ecco, tutto è appeso a quell’ancora e sui cui probabilmente si potrà costruire il mandato esplorativo di Roberto Fico per poi verificare se si sono le condizioni per formare un governo. Non si tratta di una chiusura, ma come ha tenuto a precisare Renzi appena uscito dal colloquio con il Capo dello Stato «noi non abbiamo fatto il nome di Conte perché riteniamo che siamo in una fase precedente».

Matteo Renzi

Il vero nodo per l’ex rottamatore è se «le idee di Italia Viva servono o no? Abbiamo subito quindici giorni di fango, una guerra a cui non abbiamo risposto. Prima parliamo di contenuti e poi arriviamo alla discussione sui nomi. Devono dirci se vogliono stare con noi o no, e devono confrontarsi sulle idee, non sui tweet o gli hashtag».

Chi si aspettava che Renzi o ponesse un veto sul nome di Conte, o ne proponesse un altro oppure facesse un passo indietro sarà rimasto sorpreso. L’ennesima mossa del cavallo dell’ex premier che quindi fissa più lontano il possibile incarico, decidendo di prendere tempo e nel corso del quale a fuoco lento cucinerà sia Giuseppe Conte e sia il Pd.

E l’umore nero della delegazione del Pd conferma che non solo non se l’aspettavano questa mossa da Renzi, ma soprattutto che questa rimescola tutto mettendo alle strette il Partito democratico che sul Colle era andato a sostenere il nome di Conte. Il problema è cosa fare adesso, continuare a insistere con Conte, ben sapendo che non ci sono i numeri, oppure accettare il punto di mediazione di Renzi, che però nei fatti rappresenterebbe un passo indietro e un’ammissione di sconfitta?

Molto dipenderà da cosa dirà questo pomeriggio il M5S al presidente della Repubblica, e la domanda a cui dovrà rispondere non sarà più sì o no a un Conte ter, ma piuttosto sì o no a una maggioranza con Renzi. Da questo dipenderà anche il mandato esplorativo a Fico, perché se fosse no è evidente che ci sarebbe ben poco da esplorare e piuttosto servirebbe iniziare a pensare a un piano B, che l’ex sindaco di Firenze ha già offerto.

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Eh sì, perché Renzi sempre ieri ha anche espresso il suo consenso all’ipotesi di un governo istituzionale. Anche qui nessun nome, tranne quello di un certo Mario Draghi citato, non proprio a caso, quando Renzi ha ammonito che l’uso dei fondi del Recovery plan deve essere finalizzato per fare buon debito e non cattivo debito. Proprio le parole che qualche mese fa utilizzo l’ex presidente della Bce.

Luigi Vitali

Governo di alto profilo che, oltre ad archiviare per sempre la stagione di Conte, potrebbe vedere il coinvolgimento di parte del centrodestra, in particolare Forza Italia la quale fino ad ora è riuscita a tenere a bada i suoi parlamentari. Come dimostra anche la vicenda del senatore Luigi Vitali che nel giro di una nottata è passato dal sostegno al Conte ter alla fedeltà al centrodestra, a conferma della strumentalità ma anche della debolezza dell’operazione ‘volenterosi’, sulla quale Renzi anche dal Colle non ha mancato di censurare pesantemente: «Abbiamo assistito in queste settimane a uno spettacolo indecoroso i caccia alla singola persona, al singolo parlamentare. Un tentativo di coinvolgere singoli individui capaci di cambiare idea pur di avere un ruolo e una responsabilità».

Ed è proprio attorno al fallimento di questa operazione che ruota tutta questa crisi, perché se Conte avesse trovato i numeri necessari in Parlamento staremmo scrivendo un altro articolo. Invece non ci sono, e probabilmente non ci saranno senza Italia Viva, il che consente a Renzi oggi di avere il banco e di poter dare le carte.

Oggi però prima del M5S ci sarà il centrodestra che come ha ammesso Matteo Salvini è «compatto» nei numeri e che ha le idee chiare: «Niente inciuci o ammucchiate, la via maestra per restituire stabilità e dignità al Paese è ridare la parola agli italiani; unica alternativa un governo liberale a guida centrodestra che metta al centro la crescita e lo sviluppo, le imprese e le Partite Iva, una giustizia veloce e l’apertura di mille cantieri».

Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani

Il centrodestra lo ribadirà al presidente Mattarella, perché come ripete Giorgia Meloni: «Nell’attuale Parlamento è impossibile per i numeri creare una maggioranza coesa. Il problema oggi è il Parlamento che si deve cambiare se vuoi avere un governo solido. Da noi non si può mai votare, ma non è vero. Sono tutte idiozie».

Questo però non nasconde che ci siano comunque visioni differenti e che una parte del centrodestra come Forza Italia e anche l’Udc o Cambiamo! di Toti non guardino a soluzioni alternative come quella di un governo di unità nazionale.

Per il momento la compattezza prevale, anche perché come ha detto Renzi per ora nomi non se ne fanno. Il problema è verificare se esista o meno la maggioranza e partendo da questa si potrà valutare il da farsi e quindi anche quale nome fare. Quello che è certo è che oggi la crisi non si chiuderà, domani il Capo dello Stato potrebbe dare un mandato esplorativo a una figura istituzionale per saggiare l’esistenza di una maggioranza. E tutto questo anche per prendere tempo e far decantare la situazione.

Poi, forse, martedì si tireranno le somme e chissà che non sia necessario un secondo giro di consultazioni per capire che tipo di governo: uno politico o uno istituzionale. Oppure uno di scopo che approvi soltanto il Recovery Plan e porti il Paese al voto. Insomma, la notte è ancora lunga…

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