La crisi si complica: i volenterosi non arrivano e Conte non si fida del Conte ter. Urne sempre più vicine

Ritorno alla casella del Via. Come nel classico gioco del Monopoli anche la crisi di governo sembra essere ritornata al punto di partenza. E cioè quella delle dimissioni del premier Giuseppe Conte e la nascita di un Conte Ter. Il punto sul quale fino ad ora Conte non ha mai voluto trattare e che nei fatti ha bloccato tutto, riportando appunto la crisi nuovamente all’inizio, e cioè a quando la delegazione di Italia Viva decise di abbandonare il governo.

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E’ senza dubbio frustrante vedere che dopo settimane non si è fatto un passo in avanti e che le sicurezze di una settimana fa circa la possibilità di sostituire i renziani con un gruppo di responsabili, o come Conte li aveva chiamati ‘volenterosi’, non si sono rivelate tali e che la maggioranza continua a brancolare nel buio.

Il nodo anche per i ‘volenterosi’ rimangono le dimissioni di Conte e l’avvio di una crisi pilotata che porti alla nascita di un Conte ter, cioè di un nuovo Esecutivo. Insomma, i responsabili non hanno alcuna intenzione di portare soccorso ad un governo in vita, ma piuttosto vogliono partecipare ad uno nuovo. Evidente la ragione, far pesare il loro voto nell’ambito della lista dei ministri e questo perché i posti lasciati liberi da Italia Viva evidentemente non bastano. Conte ed i suoi collaboratori erano stati troppo ottimisti, ma forse sarebbe meglio dire ingenui, che i nuovi arrivi si sarebbero accontentati di sostituire i renziani senza pretendere altro.

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Insomma, quella che sembrava una crisi semplice da superare si sta rivelando più complicata del previsto e lo scenario di un ritorno al voto non è più tanto remoto. Ma come detto il premier Conte da questa casella del Via, cioè delle dimissioni, non ha alcuna intenzione di passarci.

Troppo alta la preoccupazione che una volta aperta la crisi Conte possa rimanere impallinato sotto i colpi di Renzi, il quale in una logica di allargare la maggioranza anche a pezzi del centrodestra (Forza Italia, ad esempio) potrebbe proporre un nuovo premier. Ed a poco valgono le rassicurazioni di Pd e M5S, Conte continua a rifiutare l’ipotesi di dimissioni. Piuttosto è pronto ad andare in Aula e sfidare i renziani.

Bonafede, ministro della Giustizia
Alfonso Bonafede

Sfida che già dovrebbe arrivare questa settimana al Senato quando in Aula il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, chiederà un voto sulla sua relazione sullo stato della Giustizia e per cui sarà necessario il voto della maggioranza dei componenti e quindi di 161 senatori. Un obiettivo più che proibitivo vista la situazione. Secondo il calendario attuale dovrebbe essere mercoledì ma da ambienti della maggioranza circola l’ipotesi di uno slittamento a giovedì. Comunque si deciderà nella riunione dei capigruppo di martedì alle ore 15, perché nel caso di slittamento non soltanto questa ma anche l’Aula dovrà decidere il passaggio a giovedì.

Ventiquattro ore che potrebbero essere preziose per evitare la bocciatura della relazione Bonafede, che altrimenti innescherebbe la crisi di governo stesso. Ieri è stato molto chiaro Luigi Di Maio da In Mezz’ora di Lucia Annunciata: «Non si pensi che il tema Bonafede sia solo del M5S. Il voto sulla relazione del ministro è un voto sul governo». E continuando: «O nei prossimi giorni si trova la maggioranza, altrimenti sono il primo a dire che stiamo scivolando verso il voto».

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Insomma, chiaro lo schema: politicizzare il voto al Senato per recuperare quelli che, anche se contrari nel merito sull’operato di Bonafede, alla fine pur di sostenere il governo si schiererebbero per il sì. Una mossa che comunque è tutto da verificare visto che le prime reazioni non sembrano delle migliori, come conferma Sandra Lonardo Mastella: «Il nesso fiducia al Governo, e quindi fiducia a Bonafede, per quanto mi riguarda, lo escludo».

Si vedrà, c’è ancora tempo al punto che in diversi nella maggioranza si augurano che Conte arrivi a questo appuntamento dimissionario così da aprire ufficialmente la crisi e la via per il Conte ter. Una speranza che molti coltivano e che sperano alla fine possa fare breccia anche a Palazzo Chigi, anche se almeno per il momento questa ipotesi viene esclusa.

Giorgia Meloni
Giorgia Meloni

Dal centrodestra Giorgia Meloni attacca Di Maio che dice che «se dovesse iniziare la campagna elettorale l’Italia perderebbe il Recovery e non potrebbe fare i ricorsi contro le case farmaceutiche per i vaccini».

«Sono menzogne colossali – continua la leader di Fratelli d’Italia –: in tutte le altre Nazioni europee le elezioni si svolgono regolarmente e nessuno pensa di sospendere la democrazia. Basta con le bugie della sinistra e dei grillini: questo Parlamento non può dare all’Italia una maggioranza compatta per risolvere i problemi degli italiani e fare le scelte coraggiose di cui c’è bisogno. Per Fratelli d’Italia la via maestra sono le elezioni».

Sulla rotta delle elezioni anche Matteo Salvini: «Questo paese ha bisogno altro, di poche riforme da fare in fretta: lavoro, giustizia, flat tax. Quindi piuttosto che avere la fiducia da Ciampolillo, meglio impegnare 5 mesi per andare al voto e stare tranquilli per 5 anni». Più defilata Forza Italia che con Antonio Tajani smentisce che voglia andare al voto: «Non abbiamo mai chiesto il voto. Siamo sempre stati pronti a sederci a un tavolo e siamo ancora pronti a farlo. Ma la parola spetta al capo dello Stato in cui abbiamo massima fiducia».

Parola che sembrano presagire ipotetici governi di unità nazionale e che rafforzano, appunto, i timori di Giuseppe Conte riguardo le sue dimissioni. Timori che sembrano anche avere un nome e cognome: Carlo Cottarelli che ieri dagli studi di Che tempo che fa ha detto: «Lo zainetto è sempre pronto, il trolley invece si è rotto, non è più quello di una volta». Insomma, la crisi è tornata alla casella del via ma Conte non sembra disposto a mollare. Almeno per ora.

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