D’Incà smentisce Conte: altro che rafforzamento, in Parlamento per la maggioranza decisivi i voti dei Cinquestelle espulsi

«Mi sono trovato nel primo pomeriggio a chiamare tutte le persone del Gruppo Misto, che erano gran parte nostri ex, che hanno votato a favore dello scostamento. Grazie a loro abbiamo preso 324 voti». E’ stato Federico D’Incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento, in senso lato a rispondere al premier Giuseppe Conte, commentando così ieri nel corso di una riunione del gruppo M5S Camera sulla piattaforma Zoom, convocata per fare il punto sui lavori d’Aula.

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Per carità non abbiamo la pretesa che il ministro ci legga, ma fa senza dubbio la sensazione che abbia detto quello che ieri abbiamo scritto in controtendenza con quanto riportato dai giornali che parlavano di ‘prova superata’ e ‘maggioranza autosufficiente’. Insomma, il voto sullo scostamento di bilancio non è la vittoria di questa maggioranza, come ha detto il premier Conte, ma piuttosto l’ennesima dimostrazione di debolezza. Anzi abbiamo chiarito che proprio la presenza, in particolare al Senato, degli ex Cinquestelle cacciati dal Movimento ha consentito di raggiungere la soglia dei 161 senatori.

Federico D’Incà

Ecco, le parole di D’Incà confermano quello che sosteniamo da tempo e cioè che questo governo non ha un’anima, politica s’intende, e che soltanto la fame di potere e la paura delle urne tiene in piedi questa maggioranza e questa legislatura. Per questo chi pensa che dal voto di due giorni fa il governo sia uscito rafforzato e che la navigazione adesso sarà meno turbolente si sbaglia di grosso. E la conferma arriva dalle quotidiane frizioni che agitano la maggioranza e che adesso si sostanziano nella prossima manovra di bilancio e sullo stop alla riforma costituzionale per riconoscere il diritto di voto ai diciottenni per il Senato. Sulla seconda è stata Italia Viva a bloccare tutto, facendo saltare la tabella di marcia alla Camera.

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In realtà, come molti spiegano lo stop a questo ddl è semplicemente parte di una partita molto più complicata che coinvolge il governo e che porta dritti alla questione rimpasto e rilancio del programma di governo. E non è un caso che qualcuno dica che Italia Viva abbia fatto un favore al Pd e al M5S bloccando questo ddl e creando le condizioni per un confronto interno alla maggioranza.

Pd e Iv chiedono a Conte cambio di passo. Si profila un rimpasto della squadra di governo?

Non a caso erano stati proprio gli stessi Zingaretti e Di Maio, unitamente a Matteo Renzi, a porre la questione di un nuovo accordo di maggioranza appena chiuse le urne. Un modo non soltanto per rinsaldare la maggioranza, in vista di un tragitto lungo fino al 2023, ma anche una sorta di resa dei conti nei confronti del premier Conte.

Cambio di marcia, lo aveva chiamato il Pd la scorsa estate chiedendo esplicitamente al premier di avviare una fase nuova nella gestione dei dossier a Palazzo Chigi. Una maggiore collegialità e minor protagonismo da parte di Conte. Un obiettivo diventato ancora più impellente dopo il pareggio delle regionali, raggiunto grazie all’impegno del Pd e che adesso deve trovare in qualche modo una sua ricompensa.

E sempre non casualmente si era parlato di Nicola Zingaretti al governo nel ruolo di vicepremier insieme a Di Maio, proprio per arginare il protagonismo di Conte e far sentire il peso del Pd nella gestione dei vari dossier governativi. Questo anche alla luce dei 209 miliardi che arriveranno dall’Europa e che chiaramente il Nazareno vuole controllare, ben sapendo che dalla loro utilizzazione dipenderà anche l’andamento delle prossime elezioni.

A questo disegno è evidente che Conte si opponga, giustificandosi che toccare la squadra di governo sarebbe come aprire un vaso di Pandora. Ma giorno dopo giorno è sempre più evidente che il Pd non ha intenzione di continuare a portare acqua al mulino di Conte, specie dopo la prova elettorale delle regionali. E così anche Matteo Renzi che dinanzi al fallimento del suo progetto politico deve inventarsi qualcosa per uscire dall’angolo nel quale si è cacciato.

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Per questo lo stop alla riforma del voto ai 18enni è solo un pezzo di una partita a scacchi molto più ampia e complessa. Che riguarda anche la stessa finanziaria. Anche su questo punto la maggioranza ha intenzione di ribaltare il modus operandi portato avanti finora. Basta provvedimenti a scatola chiusa, con margini di manovra ristrettissimi per deputati e senatori e con testi blindati con la fiducia. E appunto questo dovrebbe iniziare proprio con la prossima legge di Bilancio.

Il premier Conte punta di varare la manovra per sabato

Già una prima riunione è stata fatta, ma i passi avanti sono per ora pochi. Stasera ci sarà una nuova riunione della maggioranza in vista dell’obiettivo che Conte si è fissato e cioè il varo, se non del testo almeno dello schema, entro il fine settimana. Sabato dovrebbe esserci il Consiglio dei ministri. E tutto questo anche perché bisogna inviare a Bruxelles la bozza delle misure che si intendono prendere con la prossima legge di Bilancio.

Sul piano delle misure da più parti si insiste per avviare la riforma del fisco e in particolare per operare un taglio della pressione fiscale. A questo si aggiungerebbe l’introduzione dell’assegno unico alle famiglie e misure a sostegno delle imprese. Ma è sul blocco dei licenziamenti che la partita rischia di essere aspra. Da un lato i sindacati chiedono la proroga, mentre nella maggioranza si sarebbe orientati sullo stop per dirottare le risorse su altri capitoli di spesa, come ad esempio i super bonus.

Una possibile soluzione potrebbe essere quella avanzata dal viceministro all’Economia, Antonio Misiani per il quale riguardo i licenziamento pensa che si debba «guardare ad altri strumenti, a partire dalle politiche attive del lavoro per aiutare i lavoratori che perderanno il loro posto nei prossimi mesi. E naturalmente chi utilizzerà la cig non potrà licenziare, come già previsto ordinariamente».

Giuseppe Conte

Se ne riparlerà domani e nel week end, quando Conte tornerà da Bruxelles dove spera di avere maggiori certezze anche sul Recovery Fund. La situazione appare ancora bloccata perché gli Stati ancora non hanno trovato un’intesa che consenta di dare il via libera al Bilancio 2021-2027 e di conseguenza l’erogazione di fondi. Ieri il commissario europeo Gentiloni ha ribadito che il via libera della Commissione ai progetti sarà in primavera, un dato che conferma che i primi soldi arriveranno soltanto in estate.

Sempre che la situazione non si complichi e che qualche Stato membro non decida di porre il proprio veto. Conte spera con l’aiuto della Germania di raggiungere un’intesa e di sbloccare la situazione, ma la strada appare in salita. E se i fondi dovessero ritardare i problemi per l’Italia sarebbero enormi visto che si è già esposta per 100 miliardi di euro di scostamenti di bilancio e che il fragile quadro economico italiano non resisterebbe senza l’arrivo delle risorse del Recovery.

Una partita, quindi, non facile per Conte a Bruxelles quanto quella che l’attende in Italia, dove stavolta i partiti della maggioranza non hanno alcuna intenzione di fare sconti.

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