Altroché democrazia, quella del governo Conte è solo bramosia di potere

La Corte di Giustizia Ue, accoglie il ricorso di Vivendi contro Fininvest e possibilizza una scalata francese a Mediaset. Conte dopo aver bruciato due maggioranze e sbianchettato i verbali del Cts sul covid-19 per nascondere le proprie responsabilità, pensa al partito personale, “summa” di ex: dc, m5s, fi e verdi.

Luciana Lamorgese Hotspot Taranto
Il ministro Luciana Lamorgese

Per Berlusconi dopo il virus, l’offesa di De Benedetti: «un imbroglione». La ministra dei trasporti, De Micheli, garantisce il superamento dello stretto di Messina: ponte, traforo o pista ciclabile (?); quella alla Pubblica (d)istruzione, Azzolina, dice che la scuola ripartirà, ma non come, né quando; la Lamorgese sotto attacco dei grillini che litigano in cerca di “leadership forti” e la Corte dei Conti stronca il dl Agosto: «bonus senza visione, crea un ingorgo di scadenze e complica il sistema fiscale».

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Dopo le vacanze, insomma, siamo tornati al punto di partenza. Del resto le abbiamo condivise con un vicino di ombrellone pericoloso, invisibile e strisciante che, dopo 7 mesi di convivenza, ancora non conosciamo. E continuiamo ad averne paura. Anche perché la nostra classe politica – con le sue contraddizioni, annunci “epocali” e risultati “terra terra”; il gioco delle parti sulle questioni economiche e sanitarie; i quotidiani bollettini di guerra anti-covid – ha ripreso l’opera di terrorizzazione a scopo politico elettorale.

Ed è sufficiente, leggere i giornali, ascoltare i tiggi-luce e le dichiarazioni dei leader dei partiti di questi primi giorni della più surreale campagna elettorale dalla nascita della repubblica ad oggi, per rendersene conto.

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Il Conte “maximo” ora ha un vice-conte

Roberto Gualtieri

Anche se, però, bisogna riconoscere che una leggera, ma significativa, variazione c’è stata: il Conte “maximo” ha nominato un vice-conte: il ministro delle Finanze Gualtieri, attribuendogli il compito di sostituirlo – ogni qualvolta, la realtà ne smentirà le promesse – nel rituale spostamento di un metro più avanti dell’obiettivo fissato, per non assumersi la responsabilità del fallimento reale.

Lui – ha ritrovato la voce in occasione della festa del “Fatto quotidiano” e dell’annuale Forum Ambrosetti a Cernobbio, per una duplice opera di lecchinaggio in grande stile: a Mattarella «ne vedrei benissimo una riconferma al Quirinale»; ai grillini «voterò “si” al referendum», per garantirsi i favori del primo e dei secondi in caso di sconfitta elettorale, poi, per allontanare il fantasma di Draghi da palazzo Chigi ha sostenuto che lo avrebbe voluto alla presidenza della Commissione Ue, ma gli aveva risposto di “essere stanco” – in vista del parto del “Con…te””, ha scelto di continuare a dare scossoni alla democrazia, “gingillandosi” con dpcm e pieni poteri.

Sicché, mentre il “vice” festeggia – nonostante il Pil a -12,8% di fine luglio; i 116 mld di consumi persi, secondo Confcommercio, in confronto a un anno fa; la perdita di 556mila posti di lavoro e il 30% di giovani privo di occupazione – annuncia un rimbalzo notevole del Pil (con possibile risalita fino al -8.8%) nel terzo trimestre 2020; e gongola perché gli italiani, hanno versato nelle casse dello Stato, ben il 9% di entrate tributarie in più rispetto all’anno scorso.

Lui, il capostipite – diserta le aule assembleari per evitare domande scomode – soffoca la rivolta di 50 grillini contro la sua decisione di blindare i propri uomini ai vertici dei servizi segreti, anche in caso di caduta del governo, apponendo le questioni di fiducia prima al decreto di proroga al 15 ottobre dello stato di emergenza anti covid, con l’articolo che prevedeva la “blindatura” e, poi, al “semplificazioni”.

E se l’evoluzione di questa vicenda rafforza la preoccupazione che l’eventuale vittoria del “si” al referendum sul taglio dei parlamentari, li renderebbe ricattabili e pronti ad accettare i diktat dei leader, per mantenere lo scranno, strappare lo stipendio, fino al termine della legislatura ed essere almeno ricandidati sognando di sopravvivere al taglio. Tant’è che una volta posta la questione di fiducia, i contestatori sono diventati 28 che, però, hanno preferito assentarsi e non votare, per evitare che il “no” potesse spezzare immediatamente la loro avventura parlamentare.

L’aver accettato la proposta grillina di fissare la discussione in aula sulla legge elettorale per il 28 settembre ovvero dopo il voto, è la conferma che la minaccia di votare “no” al referendum se non fosse stata approvata la riforma elettorale, almeno in una delle due Camere prima del 20 settembre, era soltanto un tentativo di Zingaretti & c., di salvare la faccia. Continuano a chiamarla democrazia, ma è solo bramosia di potere.

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