Referendum. Giusto tagliare i parlamentari, ma non come fossero fette d’anguria

Forse è vero, sarò un tantinello malfidato. Ma, continuo a chiedermi se la decisione del Capo dello Stato di abbinare il referendum per il taglio dei parlamentari e le elezioni regionali sia stata dettata da superficialità (senza rifletterci troppo, pensando solo al risparmio) o con scaltrezza (magari per rendersi conto se gli italiani credano ancora nel governo).

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Faccio fatica, infatti, in considerazione della sua grande esperienza e conoscenza dei meccanismi della politica e i dettami della Costituzione, che nell’atto di assumerla non abbia pensato a quanto sarebbe successo una volta che gli italiani si fossero espressi. Ancora di più, senza tener conto del combinato disposto fra i due risultati: la vittoria del centrodestra o dei giallorotti alle regionali e soprattutto quella del «sì» o del «no» sui quesiti referendari, che interessa soltanto i partiti.

Tanto più che l’abbinamento è stato deciso quando il Pd era ancora deciso a mantenere fede al suo tradimento d’inizio alleanza con i 5stelle, quando – dopo aver votato tre volte «no» al taglio dei parlamentari – aveva detto «sì», pur di tornare a gustare «il bello della politica», ovvero il potere, senza neanche il disturbo di passare per le urne. Unica condizione per quel «sì» che il referendum popolare confermativo, si svolgesse dopo l’approvazione della legge elettorale. Richiesta, per altro, superflua e finalizzata solo a «darsi un tono». A taglio approvato, infatti, sarebbe stato necessario, per rinnovare le Camere su basi ridotte 600 (400 onorevoli e 200 senatori) metterne a punto un’altra.

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Zingaretti: «Sì al Referendum solo in presenza ma prima il sì alla nuova legge elettorale. Anche in una sola camera»

Da qui – vistosi, per volontà di Mattarella, piovere addosso il referendum ancor prima di aver cominciato a discuterne – Zingaretti ha ricattato i compagni di cordata, avvertendoli che il «sì» del Pd è condizionato all’approvazione della nuova legge elettorale (che dovrà, naturalmente, come primo obiettivo avere quello di porre le premesse per la sconfitta del centrodestra), almeno in una delle Camere. Insomma, non sapendo cosa fare per non apparire succube dei capi grillini, il leader (si fa per dire, visto il fuoco amico apertosi su di lui, dopo la scelta, ndr) dem, ricorre al solito attraversamento del tunnel senza uscite: un via libera modello “salvo intese”, che non impegna nessuno e lascia tutto in sospeso, in attesa dell’approvazione nell’altra Camera.

E senza dimenticare che per cambiare la Costituzione bisogna prima modificare i regolamenti parlamentari. Cosicché, se, il 21 agosto, vincesse il «sì», il 22 tutto resterebbe “tale e quale”. Il che significherà proseguire, come da due anni a questa parte, con un governo che dice di aver “fatto”, e pensa che gli italiani non s’accorgano che quei “fatto”, più che realtà, sono suggestioni. Si pensi alle centinaia di annunci finiti nel nulla, come, tanto per fare qualche esempio: il liquidità di aprile, primo fra i decreti urgenti contro il coronavirus, mai partito perché gli 8 decreti attuativi necessari per dargli efficacia non sono mai nati e 5 sono addirittura già scaduti.

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Nè i successivi dpcm, con i quali Conte & c. hanno continuato a «promettere certo e mancare sicuro», hanno avuto miglior fortuna. E la trasparenza è diventata opacità totale, dal momento che i ‘giallorotti’ hanno deciso di non farci sapere più nulla di ciò che facevano e secretato tutto. A parte ovviamente i bollettini quotidiani sullo stato di avanzamento dell’emergenza coronavirus. E dopo essere stati i primi a chiudere le scuole, non hanno ancora capito come riaprirle. Ma hanno compreso benissimo come svenderci alla Cina.

In realtà, l’unica possibilità d’invertire la rotta di questo Paese – pur ribadendo la necessità di tagliare (ma non come fette d’anguria) il numero pletorico dei parlamentari – dipende dalla vittoria del «no» al referendum, che insieme a quella del centrodestra alle regionali, dimostrerebbe anche all’inquilino del colle più alto di Roma, che la liaison fra italiani e ‘giallorotti’ è finita ed è arrivato il momento di cambiare. Ma la destra lo vuole davvero? Evidentemente, no, anche se dice «sì»!

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