M5S, c’eravamo tanto amati. Ormai è tutti contro tutti

Infuocato vertice alla Camera, nel mirino la riforma dello sport del ministro Spadafora che per ora congela le dimissioni

di Dario Caselli
Michele Gubitosa

“E’ un problema politico”. Michele Gubitosa, deputato pentastellato, centra il bersaglio della questione. E’ da qualche ora che va avanti il confronto con i vertici del gruppo alla Camera del M5S, quando il deputato avellinese, con un passato nell’Avellino Calcio come vicepresidente, prende la parola e spiega: “In una azienda se un processo non funziona si risolve per evitare che si ripeta, dobbiamo fare così anche noi, ma per farlo dobbiamo ammettere che abbiamo un problema”.

Un riferimento non casuale visto che lui di aziende se ne intende, dato che dopo il diploma ha iniziato la propria attività imprenditoriale dando vita a una società di manutenzione informatica e poi creando un insieme di startup nel settore dell’Information Technology da cui sono nate una serie di aziende. Da qui la soluzione aziendalista per Gubitosa.

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In realtà più facile a dirsi che a farsi, perché da una settimana il M5S è in preda a un sommovimento generale che è scoppiato con il rinnovo delle presidenze delle Commissioni parlamentari. L’origine però è lontana, forse addirittura dal governo gialloverde visto che la crisi di consensi, ma Gubitosa direbbe ‘politica’, parte proprio da quel momento.

Il tutto frutto probabilmente di un’inadeguatezza dell’intera struttura del movimento a reggere il peso della sfida governativa e anche della competizione con l’alleato di allora, la Lega, che in termini di classe dirigente e di capacità di gestione del potere si dimostrò più capace. E il problema poi si è amplificato con il Pd, perché al gap di impreparazione si è unito quello programmatico e progettuale. Lo testimoniano le costanti divergenze sui provvedimenti, i tanti decreti approvati nel Consiglio dei ministri ‘salvo intese’ e il faticoso ruolo di mediazione a cui il premier Conte si è dovuto prestare per garantire la continuità della maggioranza.

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Ecco, che la faglia apertasi la scorsa settimana e che stenta a richiudersi ha origini lontane. Anche nell’avvicendamento tra Luigi Di Maio e Vito Crimi nel ruolo di capo politico del M5S, che avrebbe dovuto essere una parentesi e che invece si sta protraendo nel tempo e che per molti avrebbe lasciato il M5S senza una guida politica capace di farsi valere sia all’interno del movimento e sia all’esterno.

Vito Crimi M5S
Vito Crimi

Un ruolo, quello di Crimi, che anche nella riunione è stato fortemente contestato addebitando a lui e al direttivo della Camera del M5S gli errori nella trattativa con il Pd, che avrebbe portato “a regalare tutte le caselle economiche al Pd” (copyright Raphael Raduzzi).

Nel M5S sotto accusa la riforma dello sport di Spadafora: un regalo al Coni e Malagò

E come se non bastasse a questo clima da notte dei lunghi coltelli si aggiunge la grana, ma il termine è puramente eufemistico, della riforma dello Sport del ministro Vincenzo Spadafora bocciata dal direttivo della Camera. Una polemica immediatamente data in pasto ai media e che ha portato il ministro stesso sull’orlo delle dimissioni. Fatta la frittata però si è cercato di rimediare, con le senatrici del M5S in Commissione Istruzione che hanno ribadito in un comunicato la fiducia al ministro, chiarendo però di voler procedere lungo una riforma che porti a “rivedere il ruolo del Coni, diventato negli ultimi anni una sorta di potentato dal quale sgorgano intrecci affaristici e consorterie varie”.

Per il momento rimangono congelate le dimissioni, grazie anche a una telefonata tra lo stesso Spadafora e il premier Conte. Ma soprattutto perché l’uscita di scena di un personaggio come Spadafora, centrale nella nascita del governo giallorosso, potrebbe determinare la fine dell’Esecutivo stesso. Ecco perché per adesso ha vinto la linea della prudenza, quella che da mesi porta avanti Giuseppe Conte.

Vincenzo Spadafora e Giuseppe Conte

Ma è evidente che le cicatrici rimarranno anche perché il colpo assestato al ministro dello Sport Spadafora è stato durissimo. Stoppare la sua riforma suona come una chiara sfiducia al suo operato. E l’accusa, come hanno ricordato anche le senatrici del M5S nel comunicato di ieri sera, è quella di aver portato avanti una riforma lontana da quella legge parlamentare voluta dal leghista Giorgetti, che all’epoca del governo gialloverde aveva la delega, e che riduceva il potere del Coni e rafforzare la neonata società Sport e Salute.

Il che si traduceva nella limitazione dei poteri del Coni, tra cui quelli di Giovanni Malagò vera e propria bestia nera dell’ala ortodossa grillina. E probabilmente proprio questo viene imputato a Spadafora da una parte del M5S, di essere stato eretico e di aver accondisceso a Pd e Italia Viva più sensibili alle esigenze provenienti dal Coni e che chiedevano, appunto, una riforma ‘più morbida’.

Stefano Buffagni

Lo confermano, tra l’altro, anche le parole del viceministro dello Sviluppo economico ed esponente del M5S, Stefano Buffagni per il quale “la riforma è impostata in un modo che non piace, io credo che abbiamo approvato una legge parlamentare e abbiamo approvato la riforma, che è quella da portare avanti”.

Per il momento tutto è rimandato a settembre, ma il rischio è che a forza di rimandare alla fine si venga bocciati. Perché a settembre bisognerà decidere su un’altra questione su cui il rischio eresia è altissimo e cioè il Mes. E alla fine si sa come finiscono le eresie, con il rogo.

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