Rispondiamo a Feltri aprendo una riflessione. E’ tempo di capire il Sud e il Nord di questo Paese

Siamo entrati in questa pandemia sulle note dell’inno di Mameli che risuonava da ogni balcone, con i tricolori sguainati verso il cielo a mò di spade per difenderci dal Covid-19. Chi non ricorda i tanti articoli entusiastici per il senso di Nazione finalmente ritrovato. Due me ne vengono alla memoria, uno sul Corriere della Sera a firma di Ernesto Galli della Loggia e uno su Il Mattino e il Messaggero firmato da Alessandro Campi.

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Un rinnovato senso di comunità, un recupero dell’identità che non sta assolutamente a significare nazionalismo nel senso di sciovinismo quanto piuttosto il recupero dei valori che ci facciano sentire parte di un progetto sociale e culturale. In una parola che non siamo soli, e chiaramente questo in tempi di quarantena rappresenta un elemento fondamentale.

A due mesi e passa, ora che sembra che il Paese stia lentamente per uscire dal lockdown avviandosi lungo il cammino della libertà, ci imbattiamo in Vittorio Feltri che taccia i meridionali di essere inferiori, e che consiglia di non andare in Campania perché, in fin dei conti, è inutile andarci in quanto il meglio che ci possa capitare in sorte è fare i parcheggiatori.

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E’ tornato il Lombroso e con lui l’astio Nord Sud

Parole non capitate all’improvviso, ma a conclusione di giorni in cui abbiamo assistito a un crescendo di reciproci scambi di accuse tra le Regioni d’Italia. L’una contro l’altra, quelle del Nord contro quelle del Sud, e quelle del Mezzogiorno contro quelle del Settentrione.

E dire che ci avevamo creduto. Tutto quel tripudio di tricolori, l’inno di Mameli cantato dai balconi, ci aveva quasi convinto di aver messo alle spalle quel fardello di rivendicazioni e rancore che molto spesso in maniera semplicistica si preferisce rubricare a ‘Questione meridionale’.

Avevamo accolto con grande coraggio, e forse con una dose di folle entusiasmo, il terribile momento della chiusura del Paese. Cantando l’inno di Mameli e sentendolo addirittura risuonare in radio una mattina alle 11 in punto. Ma poi giorno dopo giorno quei canti li abbiamo iniziati a sentire sempre più di rado, quei balconi si sono svuotati e sono rimaste soltanto le bandiere, mute testimoni di quelle settimane trascorse. Abbiamo iniziato a sentire il peso delle privazioni.

E come sempre accade laddove viene meno l’entusiasmo affiorano i dissidi, le ragioni del dividersi, l’incomprensione e poi il rancore. Lo scrisse Eduardo De Filippo in una delle sue più note opere teatrali, Questi Fantasmi, nel toccante dialogo al secondo atto tra Pasquale Lojacono e la moglie Maria dove spiega come anche l’amore, quello per eccellenza tra Romeo e Giulietta, possa sfiorire dinanzi alle difficoltà economiche: «Cu’ ‘a panza vacante, Mari’, ‘e sense se perdono…Giulietta e Romeo dovevano essere ricchissimi, se no dopo tre giorni se pigliavano a capille…Nun da’ retta ‘e chiacchiere…».

E allo stesso modo quel rinnovato senso di Patria è andato in crisi di fronte agli interessi economici divergenti. Infatti, come non è possibile scorgere nella contesa che vede le Regioni del Nord contrapposte a quelle del Sud una ragione economica. Come non capire che la voglia di ritornare velocemente alla normalità sia legata al peso di quelle aziende, quasi tutte al Nord, che prima avevano fatto di tutto per ritardare o limitare la chiusura e che adesso chiedono a gran voce la riapertura. Lo ammette lo stesso Feltri, stavolta in un articolo su Libero: «Non si tratta di correre in strada a suonare il mandolino, bensì di tornare in fabbrica pur con tutte le protezioni che evitino i nuovi contagi».

Parole scritte che si completano con quelle orali di due giorni fa, che sentenziano l’inferiorità dei meridionali rispetto ai settentrionali e di un senso di soddisfazione degli abitanti del Sud, sempre secondo Feltri, nel vedere il Nord e la Lombardia arrancare sotto i colpi inferti dal Covid-19. Piuttosto dalle parole di Feltri emerge un non detto che aleggia in tutta questa vicenda, un sottilissimo filo che attraversa questi ultimi mesi e che vede non tanto la soddisfazione, se così si può chiamare e chissà se poi davvero esiste, del Sud verso il Nord quanto piuttosto la rabbia di una Lombardia che sente forte l’onta e lo smacco di quelle profonde ferite che questa epidemia le ha procurato.

Una Regione e una parte di territorio che si riteneva superiore a tutti e tutto, anche all’epidemia, e perciò invulnerabile grazie alla sua potenza economica (stabilita chissà poi in base a quale parametro di riferimento) e che invece si è rivelata fragilissima ed esposta più degli altri. Un atroce risveglio che al Nord si stenta a comprendere ma soprattutto ad accettare. E Libero che è il cantore di questa diversità settentrionale ne dà testimonianza. Con quella prima pagina del 4 marzo titolando: «L’infezione crea l’unità d’Italia. Virus alla conquista del Sud», che più che una notizia suonava, questa sì, come soddisfazione di non essere gli unici colpiti dall’epidemia.

Era immaginabile che le parole di Feltri venissero seguite da un moto popolare, al punto che c’è chi ne chiede la radiazione dall’albo. Chi invece tenta di adire vie legali per diffamazione. E invece dico che quanto detto da questo giornalista urticante nel modo di scrivere e pensare, che forse con il tempo ha perduto il tocco di fioretto per passare a quello della sciabola, va sfidato e le sue riflessioni per quanto assurde vanno colte nella prospettiva di aprire uno spazio di riflessione, un’occasione di confronto aperto alla politica, alla cultura e alla società civile.

E quale luogo migliore di un giornale come il nostro nato proprio in questa pandemia, che ha visto fiorire e sfiorire il senso della Nazione, e che non a caso ha scelto il nome di ilSud24.  E come il nostro direttore ha già consigliato a Feltri, riflettiamo insieme un attimo alla storia d’Italia, ovviamente non quella narrata dei libri di Storia di regime, ma quella raccontata nella storia de ‘I mille’ scritta direttamente da Giuseppe Garibaldi ed anche ciò che è avvenuto dopo il 1861.

E forse ci renderemo conto di chi veramente sono ‘i manutengoli ingordi’ e chi i veri derubati. E quanto deve il Nord al Sud. E chissà che alla fine non riusciremo a capirci e ad apprezzarci un po’ meglio. In un Paese dove non si canterà l’inno nazionale soltanto per sentirsi meno soli.

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