Pen drive di Zagaria, la Cassazione annulla la condanna al poliziotto Oscar Vesevo

Era accusato di averla rubata durante le operazioni di cattura del boss

Si è in concluso in Cassazione con un annullamento – senza rinvio – e con altri reati prescritti il processo nei confronti di Oscar Vesevo, il poliziotto accusato di aver rubato durante le operazioni di cattura del capoclan dei Casalesi Michele Zagaria a Casapesenna (Caserta) il 7 dicembre 2011, una pen drive che secondo la Dda di Napoli conteneva i segreti del boss.

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Per gli inquirenti l’agente, difeso dall’avvocato Giovanni Cantelli, aveva poi venduto il dispositivo per 50mila euro ad un imprenditore vicino al clan, ipotesi quest’ultima mai accertata durante le indagini né emersa durante il processo di primo grado, svoltosi al tribunale di Napoli Nord ad Aversa, al termine del quale – era il giugno 2023 – Vesevo, tuttora in servizio alla Questura di Isernia, era stato condannato ad una pena complessiva di sei anni e quattro mesi, essendo stato riconosciuto colpevole di peculato (4 anni e sei mesi) e di due episodi di truffa (un anno e otto mesi) in relazione alla vendita di un casa all’asta.

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Il tribunale aveva assolto Vesevo dal reato di accesso abusivo a sistema informatico e soprattutto aveva escluso l’aggravante mafiosa, facendo cadere il cuore dell’accusa, che voleva la chiavetta rubata e rivenduta al clan. In appello l’accusa si era ulteriormente ridimensionata, perché i giudici avevano derubricato il reato di peculato in quello di furto con l’aggravante dell’accesso in un edificio destinato ad abitazione, concedendo uno sconto di pena di tre anni e tre mesi. Nel frattempo erano stati dichiarate improcedibili quasi tutte le ipotesi di truffa e per una era scattata anche la prescrizione.

In ultimo grado, la Corte di Cassazione non ha riconosciuto l’aggravante del reato di furto, visto che l’introduzione di Vesevo nell’abitazione dove fu trovato Zagaria, era stata autorizzata; gli Ermellini, prendendo così atto della prescrizione intervenuta, hanno quindi annullato senza rinvio.

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La vicenda

Ad accusare Vesevo era stata Maria Rosaria Massa, padrona con il marito Vincenzo Inquieto della casa di Casapesenna dova Zagaria (entrambi i coniugi sono stati condannati per favoreggiamento) fu stanato, che aveva raccontato durante il processo che l’imputato aveva preso la pen-drive, specificando però che il supporto era della figlia e conteneva musica e documenti personali della ragazza, non i segreti del capoclan.

Già in un diverso processo inoltre, l’imprenditore Orlando Fontana cui Vesevo, secondo la Dda, avrebbe venduto il supporto rubato durante la cattura di Zagaria, era stato assolto per tale episodio. Vesevo ha sempre rigettato ogni accusa; nel corso del processo di primo grado, esaminato in aula, aveva sostenuto di non aver «preso alcuna pen drive dal covo di Michele Zagaria».

«Durante le operazioni di cattura – raccontò – sono stato tutto il tempo nel corridoio a scavare per trovare il bunker. E senza di me il capo dei Casalesi non sarebbe stato catturato»; e il suo legale Giovanni Cantelli sottolineò come «in questo processo abbiamo assistito ad un capovolgimento della realtà, con i servitori dello Stato che hanno assunto il ruolo di accusati».

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