Dem in crisi dopo il flop al referendum: scoppia il processo interno

Il PD si spacca su jobs act e cittadinanza: basta guardare al passato

Più del quorum non raggiunto, a interrogare le forze di opposizione e in particolare il Pd sono i dati riguardanti i due macro temi del referendum. Nelle ore immediatamente successive al risultato dell’affluenza, fra i dem si è scatenato – di nuovo – il dibattito sul Jobs Act.

Lo zoccolo duro dei riformisti Pd, contrari all’abrogazione della legge varata dal governo Renzi, rivendica la bontà della loro scelta con la formula «basta guardare al passato» ed evoca una resa dei conti. Tradotto, una riunione della direzione o dell’assemblea in cui fare il punto sugli errori della segretaria.

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L’assemblea è da convocare due volte l’anno, per statuto, ma probabilmente non se ne parlerà prima del mese di luglio, fa sapere un esponente dem. Prima di allora potrebbe, invece, tenersi una riunione fra i leader del centrosinistra, ipotesi che circola in Transatlantico e che un leader di partito non smentisce: «Potremmo incontrarci nelle prossime ore, ma non c’è un appuntamento fissato. Ci sentiamo e ci vediamo regolarmente».

Le posizioni interne: tra accuse e prese di distanza

Nel Pd, però, monta la tensione. La vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno sottolinea che «l’alternativa di governo non si costruisce agitando feticci del passato, c’è un nuovo mondo là fuori che ci chiede soluzioni coraggiose alle sfide di oggi. Guardiamo avanti».

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Di «battaglia anacronistica» parla anche Giorgio Gori: «Un autogol prevedibile, che andava evitato. Il Pd si è infilato in una battaglia ideologica, anacronistica, troppo tecnica e quindi incomprensibile ai più, a traino della Cgil e contro la sua stessa storia».

Letture respinte dallo stato maggiore del Pd che, al contrario, fa notare come oltre l’89 per cento dei votanti abbiano risposto Sì al quesito sul reintegro dei lavoratori licenziati illegittimamente e come, dall’analisi dei flussi elettorali, emerga che la quasi totalità degli elettori che hanno votato Pd nel 2024 abbiano sostenuto i quattro temi sul lavoro.

«C’è una perfetta corrispondenza fra gli elettori del Pd e la linea della segretaria», fa notare il capogruppo in commissione Lavoro, Arturo Scotto: «L’unica resa dei conti che serve è quella contro il lavoro precario».

A gettare acqua sul fuoco è Dario Nardella che respinge l’idea della «resa dei conti» interna e invita a riflettere per «capire davvero il messaggio degli italiani e migliorare, anche cambiando schema». Lo «schema» al quale si riferisce l’eurodeputato Pd riguarda i contenuti e, in particolare, il posizionamento sul tema della cittadinanza.

Il nodo cittadinanza: un’altra frattura per i dem

I dati dell’Istituto Cattaneo e la spaccatura nel centrosinistra

Un fulmine a ciel sereno per i dem: dall’analisi dei flussi elettorali fornita dall’Istituto Cattaneo, tra il 15 e il 20 per cento degli elettori che hanno votato Pd alle Europee 2024 ha barrato il No sulla scheda del quesito che mirava a tagliare gli anni di attesa per l’ottenimento della cittadinanza da dieci a cinque anni.

Riccardo Magi, segretario di Più Europa e promotore del referendum sulla cittadinanza – assieme a una galassia di associazioni – rivendica come un successo l’aver riaperto il dibattito pubblico su un tema che sembrava accantonato.

Tajani e lo Ius Scholae: convergenze trasversali

Il ministro e segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, rilancia lo Ius Scholae, un’idea che vede d’accordo anche M5s, che ha presentato una proposta di legge, e Azione: «Bene Tajani sullo Ius Scholae. Se lo porterà in Aula noi lo voteremo e così dovrebbe fare la sinistra, se veramente fosse interessata alla questione della cittadinanza».

Scelte strategiche e tensioni sull’abbinamento dei quesiti

Nonostante questo, a scandagliare fonti parlamentari di opposizione si registrano critiche sulla scelta di «agganciare» il referendum sulla cittadinanza a quelli del lavoro. I risultati, è il ragionamento, dicono due cose fondamentali: il fronte progressista costituito da Pd, M5s e Avs ha votato compatto – con qualche marginale defezione nel Pd – per i quesiti sul lavoro.

Al contempo, si sono registrati picchi di No al quesito sulla cittadinanza nel Pd (il 15-20 per cento degli elettori) mentre il M5s si è spaccato praticamente a metà fra favorevoli e contrari. «Però, che la cittadinanza abbia avuto un impatto sull’affluenza non lo credo», dice Nicola Fratoianni.

Il peso dell’assenza del quesito sull’autonomia

A mancare, osserva invece Scotto, potrebbe essere stata soprattutto la forza motrice della «locomotiva» dell’Autonomia differenziata. A quel quesito referendario, sostenuto dalla raccolta firme unitarie delle opposizioni, si era agganciato il vagone del referendum sul lavoro. Poi però l’Autonomia è stata fermata per sentenza della Corte Costituzionale che ha giudicato inammissibile il quesito.

Rimaneva il referendum sul lavoro promosso dalla Cgil che mirava ad abrogare il Jobs Act. Le opposizioni, compreso il Pd, lo hanno sostenuto convintamente, con qualche tensione interna ai dem per l’opposizione dei riformisti. Contemporaneamente, Più Europa assieme alle associazioni promotrici del referendum sulla cittadinanza depositava le firme per la riforma della legge sul conferimento della cittadinanza.

Giuseppe Conte e il suo partito non hanno mai fatto mistero delle loro perplessità. Tanto da rilanciare, contemporaneamente, l’idea dello Ius Scholae, proposta già depositata in Parlamento.

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