Referendum sull’autonomia bocciato dalla Consulta: inammissibile

Promossi quelli sul lavoro e sulla cittadinanza per gli extracomunitari

La Consulta boccia il referendum abrogativo sull’Autonomia differenziata delle Regioni ma promuove quelli sul lavoro e quello sulla cittadinanza per gli extracomunitari.

La sentenza più attesa, l’inammissibilità del quesito sulla cosiddetta ‘legge Calderoli’, fa tirare un respiro di sollievo al governo, che intanto si prepara a rimettere le mani sulla riforma. Esulta in particolare la Lega, che vince una battaglia simbolo del Carroccio, osteggiata da quasi tutti i partiti all’opposizione e da varie associazioni, i quali – sostenendo il referendum – chiedevano di eliminare interamente la norma approvata a giugno dal Parlamento, che definisce i principi generali per l’attribuzione alle Regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di Autonomia.

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Dubbi sulla chiarezza del quesito referendario

A pronunciarsi sono stati undici giudici anziché quindici, a causa del mancato accordo in Parlamento sulla nomina dei quattro membri di nomina politica: «L’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari – hanno rilevato -. Ciò pregiudica la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore».

Per questo «il referendum verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta sull’Autonomia differenziata»: ciò «non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale», spiega la Corte, che si era già espressa il mese scorso in merito alla stessa legge, sottolineando – ai fini di compatibilità costituzionali – la necessità di correzioni su sette profili della stessa legge: dai Livelli essenziali di prestazione (Lep) alle aliquote sui tributi.

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Un iter complesso

Prima dello stop definitivo, il percorso del quesito promosso dalle opposizioni aveva avuto un primo ok a metà dicembre, quando la Cassazione – già chiamata a pronunciarsi – aveva ritenuto regolare la richiesta del referendum (respingendo però i quesiti di abrogazione parziale). Ma la legge Calderoli aveva spaccato i governatori fin dalla sua promulgazione sei mesi fa, tanto che quattro Regioni guidate dal centrosinistra avevano sollevato le questioni di legittimità di fronte alla Corte.

Lo scorso dicembre la Consulta, nelle motivazioni della sentenza 192, ha quindi specificato che ci sono alcune materie – dall’energia ai trasporti, passando per la scuola – che non vanno trasferite alla competenza dei territori. Per questo l’Autonomia differenziata subirà comunque una decisa revisione in Parlamento, così come suggerito dalla stessa Corte.

«Stiamo già lavorando a una legge», aveva assicurato la premier Giorgia Meloni nella conferenza stampa di inizio anno. Ma il timore – trasversale tra gli alleati – è che con una ulteriore riformulazione dei Livelli essenziali delle prestazioni si riaprano anche i distinguo e i dubbi all’interno della stessa maggioranza (e tra i governatori). Anche per questo c’è chi pronostica tempi lunghi perché una riforma veda la luce.

Zaia e Fontana esultano

Ma intanto il presidente del Veneto Luca Zaia plaude al pronunciamento dei giudici che – sostiene – «contribuisce a chiarire ogni dubbio sul percorso dell’Autonomia, che continuerà a svilupparsi nel pieno rispetto della Costituzione, delle indicazioni della Consulta e del principio di Unità nazionale, mantenendo al centro i valori di sussidiarietà e solidarietà».

E il numero uno della Lombardia, Attilio Fontana, aggiunge soddisfatto: «Il tentativo portato avanti dai comitati referendari e dai partiti di sinistra di contrapporre il Nord al Sud è stato smontato dalla Corte». Gli stessi giudici hanno invece dichiarato ammissibili gli altri cinque referendum abrogativi che riguardano quello proposto da +Europa sulla cittadinanza per gli extracomunitari e quelli promossi dalla Cgil su Jobs Act, indennità di licenziamento nelle piccole imprese, contratti di lavoro a termine e responsabilità solidale del committente negli appalti.

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