Camorra, medici e infermieri agli ordini degli Amato-Pagano

Quando un professionista, amico del capoclan Cesare Pagano, curò Gennaro Notturno rimasto ferito in un raid di camorra

Gli Amato-Pagano e i loro alleati potevano contare sull’aiuto di medici e infermieri compiacenti. A riferirlo ai magistrati antimafia di Napoli è stato il collaboratore Gennaro Notturno, ex ras del Lotto T/B di Scampia. Lui stesso, infatti, avrebbe usufruito dell’assistenza sanitaria messa a disposizione della cosca quando rimase ferito durante l’attacco ai 7 Palazzi, il raid che costò la vita a Antonio Landieri, ucciso per errore dai killer della scissione.

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Scopo dell’azione di fuoco, ha raccontato il pentito, era quello di liberare la zona dalla presenza dei Meola, famiglia che aveva rifiutato di passare con gli Amato-Pagano e rimanere fedele ai Di Lauro. A dare l’ordine di colpire, ha spiegato Notturno, fu lo stesso Raffaele Amato, durante un summit che si tenne a Varcaturo presso la villetta in cui si erano nascosti i capi ribelli. Del gruppo di fuoco avrebbero dovuto fare parte anche i ‘cafoni’ ossia gli Abbinante, altro sodalizio che si era scisso dalla cosca di Paolo Di Lauro. La loro partecipazione, infatti, avrebbe dovuto fornire la prova della loro fedeltà ai boss scissionisti. Le cose, però, non andarono come previsto.

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Il commando, partito da un’abitazione del rione Monterosa e di cui faceva parte anche Notturno, non riuscì nel suo intento di uccidere Salvatore Meola. Il motivo lo ha raccontato lo stesso Notturno.

«Giovanni Moccia, contravvenendo agli accordi, sparò con la pistola un paio di colpi, uno dei quali mi colpì all’avambraccio sinistro appena sopra il polso, staccandomi il Rolex Daytona che indossavo. A quel punto mi partì una raffica dalla mitraglietta che portavo nella mano destra. Infatti, il colpo di Moccia mi provocò una ferita all’avambraccio. Non so dire se la mia raffica abbia colpito qualcuno, né ho visto qualcuno delle persone che si trovavano nei pressi del bigliardino cadere. Scendendo dall’auto, per una frazione di secondo ebbi modo di notare un paio di ragazzi lì presenti che non facevano parte della paranza del Meola». A terra rimase invece Antonio Landieri, ragazzo disabile che non riuscì a sfuggire alla furia dei killer.

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Le cure ai feriti

Notturno ha, quindi, riferito cosa accadde immediatamente dopo il fallito raid. «A causa della ferita, Esposito fece dirigere il gruppo a casa di Giuseppe Carputo a Marano», dove, poco dopo, fu raggiunto da altri esponenti della scissione. È a questo punto che entrano in scena i medici dell’organizzazione. «Venne fatto giungere per medicarmi un infermiere prelevato a Marano dagli Abbinante, che disinfettò la ferita e mi medicò con garze ed altro procurate da Riccio e da Peppaccio. Io dissi all’infermiere che non volevo punti di sutura e costui si limitò a bendarmi».

Ricevuti i primi soccorsi, Notturno, si sarebbe, quindi, recato a Varcaturo per informare Raffaele Amato sull’esito dell’attacco. Il boss rimase contrariato dalle notizie portare e, soprattutto, dal fatto che un innocente aveva perso la vita ma, allo stesso tempo, fu soddisfatto della partecipazione degli Abbinante.

Dopo l’incontro, ha riferito il collaboratore, fu portato da Arcangelo Abete e da suo fratello Vincenzo presso un’abitazione di Ciro Caiazza dove, poco dopo, fu raggiunto anche da Cesare Pagano che avrebbe portato «un medico di sua conoscenza, che curava peraltro il nipote, e che era intervenuto anche per curare De Pasquale Spasiello, ferito ad una gamba in occasione del suo sequestro di persona, prima di venire ucciso… Dissi al medico che ero rimasto ferito con un colpo di pistola, mi prescrisse iniezioni, mi rifece la medicazione senza applicarmi punti di sutura. L’articolazione funzionava e fu l’unica volta che lo vidi».

In quell’occasione, inoltre, Notturno ha riferito che durante il suo soggiorno nel covo di Marano fu raggiunto anche da esponenti della cosca Polverino che, secondo il racconto del collaboratore, appoggiavano segretamente la scissione voluta da Cesare Pagano e Raffaele Amato. Un racconto che assomiglia tanto a una delle famose commedie amare di Eduardo De Filippo, «Il sindaco del rione Sanità»

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