Vessazioni e violenze alla sua ex: braccialetto elettronico per Rudy Guede

Il 36enne già condannato in passato per l’omicidio di Meredith Kercher

Divieto di avvicinamento e braccialetto elettronico. E’ quanto disposto, su richiesta della Procura di Viterbo, nei confronti di Rudy Guede, il 36enne cittadino ivoriano già condannato in passato per l’omicidio di Meredith Kercher avvenuto a Perugia nel novembre del 2007. Guede è accusato dai pm della Tuscia di vessazioni e violenze nei confronti della sua ex, una ragazza di vent’anni anche lei cittadina straniera ma da alcuni anni in Italia e che alcuni mesi fa ha presentato una denuncia. Per lui le accuse sono di maltrattamento, lesioni personali e violenze.

Secondo l’impianto accusatorio l’uomo avrebbe preso di mia la sua ex compagna arrivando ad aggredirla anche fisicamente. Elementi confermati nel corso dell’indagine che i pm, coordinati dal procuratore Paolo Auriemma, hanno affidato agli uomini della Squadra Mobile. Un quadro allarmante che aveva spinto i titolari del procedimento a sollecitare per Guede gli arresti domiciliari. Una richiesta non accolta, però, dal giudice per le indagini preliminari che ha ritenuto sufficiente il divieto di avvicinamento di almeno 500 metri dalla vittima e l’applicazione del dispositivo che consente il controllo elettronico in remoto dei soggetti raggiunti da una misura cautelare.

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La condanna per l’omicidio di Meredith

Guede, tornato libero nel gennaio del 2022 dopo avere scontato 13 anni di detenzione, è l’unico condannato per l’omicidio di Meredith. E’ stato processato con il rito abbreviato e condannato a 16 anni di reclusione per omicidio in concorso con ignoti, gran parte dei quali scontati nel carcere Mammagialla di Viterbo. Dopo avere scontato la pena è rimasto a vivere nel capoluogo della Tuscia dove aveva trovato lavoro come cameriere in un ristorante e parallelamente collaborava con un centro studi.

Tra coloro che sono stati coinvolti nella vicenda dell’omicidio della studentessa inglese – la sua coinquilina americana Amanda Knox e l’allora fidanzato di quest’ultima, Raffaele Sollecito – l’ivoriano è stato l’unico che ha sempre ammesso la sua presenza nella casa di via della Pergola mentre Meredith veniva ferita mortalmente alla gola. Negando però di avere partecipato al delitto e, anzi, sostenendo di avere cercato di soccorrerla. Una versione che però non ha mai convinto la famiglia Kercher.

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Sulla nuova vicenda giudiziaria che coinvolge il 36enne è intervenuta anche Amanda. «Mi dispiace tanto per la sua ex compagna. Che paura….spero che abbia il sostegno di cui ha bisogno», si è limitata a dire la cittadina americana.

Su quanto avvenuto nel 2007 Guede è tornato a parlare nei mesi scorsi. «Avrei voluto fare di più, andare per strada, urlare e attirare l’attenzione su di me, magari chiamare un’ambulanza – ha dichiarato -. Purtroppo avevo 20 anni e la mia età ha fatto sì che non mi fermassi un attimo e prendesse il sopravvento la paura che mi ha spinto a scappare via». Il caso giudiziario della Kercher non è comunque a ancora chiuso.

La vicenda processuale

Il 13 ottobre scorso la quinta sezione penale della Cassazione ha infatti revocato e annullato le sentenze con cui la Knox è stata condannata per calunnia, per avere coinvolto nel delitto compiuto a Perugia il titolare del pub dove lavorava, Patrick Lumumba, poi riconosciuto estraneo e quindi prosciolto. Un punto fermo di tutti i processi, cinque, celebrati finora.

L’introduzione dell’articolo 628 bis del codice di procedura penale ha però dato alla ragazza americana la possibilità di chiedere che vengano eliminati «gli effetti pregiudizievoli» derivanti da una violazione che sia stata accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, quella di difesa in questo caso. La Corte ha quindi accolto la richiesta dei difensori dell’americana, disponendo il «rinvio per un nuovo esame sul punto» alla Corte d’assise d’appello di Firenze.

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