Camorra imprenditrice, il gip: Vincenzo Di Lauro voleva modernizzare il clan

Si è alleato anche con i «nemici» pur di incassare

Voleva assicurare soldi che potessero bastare alla figlia per sempre. Perché lui, Vincenzo Di Lauro, figlio di Paolo, è uno che oggi c’è e domani no. Boss della cosca che ha la sua roccaforte nel quartiere di Secondigliano a Napoli, ‘Enzo’ ha diretto il clan dal 9 gennaio del 2015, da quando fu scarcerato dopo 10 anni di carcere. E per questo, così come emerge dall’ordinanza di custodia cautelare che lo ha riportato in cella lui e in carcere altri 26 indagati, ha iniziato a fare l’imprenditore. Ma a modo suo.

Ne parla il pentito Salvatore Tamburrino in un verbale del 20 dicembre del 2019 allegato alla misura cautelare. «Una fabbrica di sigarette di contrabbando rastrellando pizzo in tutti i negozi della zona per fare soldi, una società di fatture false, una di magliette e bibite energetiche, e poi la droga, ma non troppo», elenca il collaboratore di giustizia.

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Vincenzo Di Lauro considerava infatti il clan come una sorta di ‘azienda di famiglia’ e i metodi camorristici come mezzo necessario per raggiungere finalità che sono essenzialmente economiche, commerciali, finanziarie «e non principalmente per affermare il dominio sul territorio, che non è più l’elemento costitutivo unico ed essenziale su cui ruota la vita criminale della sua consorteria», scrive il gip Luca Della Ragione, ma per fare soldi e accumulare ricchezze. «Ha ‘modernizzato’ una consorteria già tristemente famosa per le sanguinose faide scatenate nel primo decennio del secolo», aggiunge, e si è alleato anche con i nemici pur di incassare.

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