Sul green pass Draghi sceglie il ritmo di ‘adagio ma non troppo’. E Salvini tira un sospiro di sollievo

Le tensioni degli ultimi giorni spingono Draghi alla prudenza. L’estensione del green pass si farà, ma se ne parlerà a fine mese

‘Adagio ma non troppo’. Mario Draghi veste i panni di Beethoven e sul green pass decide di rallentare. Per carità, la linea rimane quella che da tempo lo stesso ex governatore della Bce ha tracciato, cioè della fermezza perché il premier è convinto che la strada per uscire dalla pandemia sia quella di vaccinare, vaccinare e ancora vaccinare.

E per farlo sa benissimo che due sono le strade: estendere il green pass, appunto, oppure introdurre l’obbligo vaccinale. Però riguardo questa ultima strada Draghi sa benissimo che il cammino è molto accidentato, visto che dall’Ema non è giunto quel fatidico via libera all’obbligatorietà del vaccino, lasciando così che sia la politica a decidere.

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Scelta che, evidentemente, a Palazzo Chigi non vogliono prendere perché questo presupporrebbe il riconoscimento del diritto agli indennizzi per le vittime, non necessariamente mortali, dei vaccini anti-Covid. Ecco perché l’unica strada continua a rimanere quella di estendere il green pass, convincendo, ma forse sarebbe meglio dire costringendo, sempre più persone a vaccinarsi. Ma tutto sempre in maniera spontanea e quindi sotto la piena responsabilità dei vaccinati.

E se fino a ieri sembrava che già in questa settimana si dovesse andare al varo di un primo decreto per estendere il green pass ai lavoratori dei luoghi pubblici soggetti ad assembramenti, si era parlato di centri commerciali, adesso tutto sempre rallentare. La conferma arriva dal Consiglio dei ministri convocato per oggi che dovrebbe limitarsi ad estendere il certificato verde digitale soltanto per i lavoratori esterni della scuola e delle università, come addetti alle mense e alle pulizie, e per il personale delle Rsa.

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L’estensione comporterebbe problematiche giuridiche e pratiche

Insomma, adagio. La spiegazione che arriva da Palazzo Chigi di questa frenata è nel voler approfondire con attenzione il dossier, visto che l’estensione del green pass anche ai dipendenti pubblici e privati comporterebbe una serie di problematiche giuridiche e pratiche. Una su tutte il costo dei tamponi per quei lavoratori che comunque non vorranno vaccinarsi, a chi spetterà? Giorni fa sindacati e Confindustria si sono incontrati, e torneranno a farlo, ma proprio su questo punto non hanno trovato un’intesa. Draghi attende e nel frattempo, quindi, preferisce innestare la marcia più bassa e rallentare.

C’è però chi dà anche una lettura politica alla frenata del premier, legandola alla crescente tensione registrata in questi giorni nella maggioranza e che ha visto protagonista la Lega, che a sua volta alla Camera tra ieri e l’altro ieri ha votato più volte insieme a Fratelli d’Italia emendamenti contrari al governo sul decreto green pass. Episodi che confermano un partito sempre più a disagio e sotto pressione.

Salvini in questi giorni si è dovuto barcamenare tra una parte del partito che voleva parlare alla pancia del Paese, ed una che invece intendeva ascoltare i ceti produttivi preoccupati di nuove chiusure e quindi favorevoli a green pass e vaccinazioni. Così si spiegano le contorsioni di questi giorni, peraltro amplificate dalla concorrenza di Fratelli d’Italia, che ormai ha superato il 20 per cento nei sondaggi, e dalla campagna elettorale.

Draghi ha perciò capito che insistere ed accelerare avrebbe rischiato di esacerbare troppo gli animi, esponendo il governo a rischi eccessivi. E non è un caso che nella mattinata di ieri il premier si sia sentito telefonicamente proprio con il leader leghista. Chissà che non abbiano proprio parlato di questo. Comunque sia il risultato è che per il momento l’estensione del green pass procederà a piccoli passi.

Malumori negli altri partiti della maggioranza

E infatti subito Matteo Salvini si è intestato questa decisione, spiegando che domani «sicuramente non c’è l’imposizione a milioni di lavoratori pubblici e privati». Chiaro che questo rallentamento abbia provocato malumori negli altri partiti della maggioranza, che non accettano una Lega di lotta e di governo. Enrico Letta parla di «un limite e questo limite, per quanto mi riguarda, è già stato ampiamente superato. Una forza di maggioranza deve votare con la maggioranza di governo, mentre la Lega ha votato contro Draghi e sta votando contro Draghi». E pure Giuseppe Conte chiede chiarezza: «Invito, senza polemiche, la Lega, che si è assunta una responsabilità a essere conseguente e chiarire la propria posizione sul green pass».

Malumori che Draghi aveva messo in conto e che comunque rappresentano il male minore rispetto all’ipotesi di una Lega sull’uscio della porta della maggioranza. Il premier sa bene, infatti, che anche senza Lega il governo avrebbe i numeri ma la sua uscita segnerebbe politicamente il governo, spostandolo tutto a sinistra e forse imponendo anche alla stessa Forza Italia di uscire con l’effetto che la sua maggioranza sarebbe in tutto e per tutto uguale a quella del Conte bis. Fantapolitica, forse, ma comunque sia meglio non esasperare gli animi, peraltro già accesi.

In fin dei conti si tratta semplicemente di un rallentamento e non certo di un cambio di programma. Questo lo sa bene anche Salvini. L’estensione del green pass ci sarà e toccherà a lui, come già accaduto in passato su altri dossier, far digerire anche questo ai suoi dirigenti ed elettori. Per il momento però potrà dedicarsi alla campagna elettorale, continuare nel vestire i panni del leader di lotta e di governo ma con la consapevolezza che dopo le elezioni la ricreazione è finita. Perché, come detto, il ritmo è sì adagio, ma non troppo.

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