Parlare di pizza “vera” significa partire da Napoli, dove tra Seicento e Settecento prende forma un cibo popolare destinato a conquistare il mondo. Le prime tracce codificate raccontano della mastunicola (impasto cotto nel forno a legna con strutto, basilico e cacio), poi dell’arrivo del pomodoro dal Nuovo Mondo e, nell’Ottocento, dell’incontro con il fiordilatte e la mozzarella di bufala. Da questo percorso nasce la Margherita, così battezzata nel 1889 in onore della regina in visita a Napoli; insieme alla Marinara costituisce l’ossatura della tradizione partenopea.
Non a caso, nel 2017 l’UNESCO ha iscritto l’Arte del Pizzaiuolo Napoletano nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità: un riconoscimento ai saperi artigianali, alla manualità e alla ritualità che uniscono impasto, lievitazione, stesura e cottura. E proprio la cottura è uno dei tratti identitari: il forno a legna, con temperature tra 430 °C e 480 °C, “abbraccia” la pizza per 60–90 secondi, dando vita al cornicione alveolato e morbido tipico dello stile napoletano.
La sorella del popolo: la pizza fritta
Se la Margherita è l’icona, la pizza fritta è il romanzo di Napoli: una risposta ingegnosa al dopoguerra, quando mancavano forni e ingredienti e si cercavano soluzioni economiche e sostanziose. Nelle case e per strada, spesso venduta “a ogge a otto” (paghi dopo otto giorni), la pizza fritta è diventata simbolo di resilienza e gusto, celebrata anche ne L’oro di Napoli con Sophia Loren. Oggi resta un classico dello street food partenopeo, con ripieni che spaziano dalla ricotta ai ciccioli fino alle versioni più moderne.
E il “fiocco”? Origine contemporanea, radici partenopee
Accanto ai capisaldi storici, Napoli continua a creare. La pizza fiocco – nata nei primi anni Duemila nell’area di Volla grazie ai fratelli Susta – è un’invenzione recente che ha conquistato menu e social: base bianca con panna, prosciutto cotto e patate schiacciate (o crocché in alcune varianti), mozzarella, olio e pepe. Non è un classico ottocentesco come Margherita o Marinara, ma un prodotto contemporaneo nato in contesto napoletano, e ormai riconosciuto come un piccolo cult.
Tradizione viva: dove assaggiare la vera pizza
Camminando tra vicoli e quartieri, Napoli offre pizzerie custodi del disciplinare AVPN e botteghe che sperimentano senza tradire l’anima dell’impasto. Qui convivono Margherita e Marinara fatte “a regola d’arte” – impasto elastico, stesura a mano, cottura veloce su platea rovente – e interpretazioni creative che rispettano equilibrio e leggerezza. Tra gli indirizzi che uniscono ricerca su farine, impasti e lievitazioni alla tutela della tradizione c’è ammaccamm, realtà puteolana associata AVPN, emblema dell’attenzione al gesto dell’“ammaccare” e alla qualità della materia prima.
Curiosità e gusto senza confini
Oggi i gusti di pizza sembrano infiniti: classiche, “gourmet”, fritte, ripiene, bianche, rosse, con prodotti del territorio o influenze globali. È il segno di una città che non smette di creare, pur restando fedele ai suoi gesti fondativi: impasto ben lavorato, stesura a mano, forno a legna ardente, rapidità di cottura. Basta osservare alcune curiosità per capirlo: la Margherita e la Marinara restano i due pilastri della tradizione, ma esistono varianti storiche come il calzone ripieno e la quattro stagioni napoletana.
La cottura, rapidissima, dura appena un minuto e mezzo, e nel caso della pizza fritta l’impasto che “cresce” nell’olio caldo crea quella camera d’aria interna unica al mondo. E poi ci sono le creazioni moderne – come il fiocco, le pizze con ortaggi di stagione o farine speciali – che dimostrano come la fantasia napoletana sia inesauribile. Eppure, nonostante le innovazioni, resta una certezza: la vera pizza, quella che profuma di forno a legna, che si piega a portafoglio e che racconta secoli di storia e identità, rimane sempre a Napoli.