Giudice contesta la disposizione che ha “sanato” la società Municipia
Sembrava tutto archiviato, risolto da una norma inserita nel decreto Milleproroghe. Ma ora, la vicenda che riguarda la società Napoli Obiettivo Valore – la Nov – torna improvvisamente al centro della scena. Un giudice della Corte di giustizia tributaria di Napoli ha infatti rimesso il caso alla Corte costituzionale, parlando apertamente di «assoluta anomalia di quell’intervento normativo».
Dall’affidamento ai privati alla nascita della Nov
Tutto nasce da una scelta dell’amministrazione Manfredi: per rispettare gli impegni del Patto per Napoli e arginare il dissesto finanziario, si decide di affidare ai privati la riscossione dei tributi comunali. Viene bandita una gara, che si aggiudica Municipia. Ma nel 2023 il contratto col Comune lo firma una nuova società: la Nov, creata proprio da Municipia per gestire il servizio.
I primi ricorsi dei contribuenti
È qui che partono i primi ricorsi. Alcuni contribuenti napoletani che ricevono gli avvisi di pagamento da Nov li contestano davanti al giudice tributario, sostenendo che la società non ha l’iscrizione all’albo delle concessionarie, requisito fondamentale per operare. Municipia è iscritta, Nov no. Di qui il dubbio: quegli atti sono legittimi?
L’intervento del Parlamento
Il caso arriva in Cassazione. Ma prima che i giudici possano pronunciarsi, a febbraio il Parlamento inserisce nel Milleproroghe una norma che di fatto riscrive le regole: anche una società non iscritta all’albo può riscuotere, purché la sua proprietaria lo sia. Una norma interpretativa che “sana” retroattivamente la posizione di Nov.
Risultato: a marzo la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, perché «è intervenuta la norma di febbraio». E con essa, dichiara «legittimi» gli atti di riscossione emessi.
I dubbi di costituzionalità
Sembra tutto finito. Ma non per il giudice Luca Caputo, che con un’ordinanza riapre ufficialmente la questione: «Al momento dell’approvazione a febbraio della norma – si legge nell’ordinanza – era già stata calendarizzata e celebrata l’udienza presso la Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi sulla possibilità per le società di scopo non iscritte all’albo dei concessionari di effettuare attività di riscossione di tributi».
Una norma tardiva e repentina
Non è tutto. Il giudice sottolinea che quella norma è stata introdotta «a notevolissima distanza di tempo, quasi trent’anni, dalla entrata in vigore della disciplina sulle società di riscossione dei tributi». Una modifica che arriva tardi, in modo repentino e in un contesto – quello del Milleproroghe – non adatto a cambiamenti così strutturali.
Il nodo della concorrenza
Ma la parte più delicata, si legge in un articolo di Alessio Gemma pubblicato su «La Repubblica», riguarda i profili di incostituzionalità legati alla concorrenza. La norma, si legge, «introduce, di fatto, un regime differenziato dei requisiti previsti per le società di riscossione che appare irragionevole e ingiustificato, con gravi ripercussioni sulla parità di concorrenza delle imprese». Se al momento della gara fosse stata nota questa interpretazione, altre aziende senza l’iscrizione all’albo avrebbero potuto partecipare. Secondo Caputo, la disposizione finisce per «favorire la possibilità di dare luogo a una condizione privilegiata per le società già concessionarie dei servizi di riscossione dei tributi».
Le conseguenze per le casse comunali
Il rischio per le casse comunali è enorme. Già prima dell’intervento legislativo, racconta Raffaele Ambrosino su Stylo24, a Palazzo San Giacomo si temeva un possibile danno da 100 milioni di euro tra mancata riscossione e contenziosi. Se la Consulta dovesse bocciare la norma scritta per salvare la giunta Manfredi, migliaia di atti firmati da Nov rischiano di essere annullati.
E la Nov gestisce una fetta importante delle entrate tributarie del Comune. Annullare tutto vorrebbe dire rimborsi, nuove cause, un danno potenzialmente devastante. Per ora tutto resta sospeso. Il giudizio resta congelato, e con esso la tenuta della riscossione a Napoli. Solo la Corte costituzionale potrà dire se quella norma fosse davvero legittima – o solo un modo per aggirare una regola troppo scomoda.